Monopolio e tavole di mortalità
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 27/07/1911
Monopolio e tavole di mortalità
«Corriere della sera», 27 luglio 1911
Ma è proprio vero o almeno fino a che punto è vero che la tavola di mortalità della nostra Direzione generale della statistica siano ottimistiche, esprimano una mortalità inferiore al vero, favorendo così i calcoli fatti in appoggio al disegno ministeriale? L’ on. C. F. Ferraris, che è uno statistico provetto e per ciò prudente, ne ha accennato il dubbio e ha cercato darne qualche prova in diretta. Altri onorevoli hanno convertito il dubbio in certezza, a quanto si capisce dai resoconti parlamentari, elargitici dai giornali con fantasiose varianti, e se la sono presa acremente colle tavole di mortalità e di sopravvivenza e anche contro quei poveri untorelli di statistici che avevano osato, in tempi non sospetti, elogiare la maniera con la quale le tavole del 1901 sono state calcolate.
Contro il monopolio sulle assicurazioni-vita si possono schierare cento argomenti, e pare che lo stesso Governo se ne sia persuaso. Non è proprio necessario infirmare le nostre tavole. Queste possono essere esattissime e il disegno del monopolio può essere quello che l’Einaudi ha crudamente dimostrato. La diminuzione della mortalità italiana è stata sino a ieri invocata come argomento di letizia. Non occorre contraddirsi a pochi giorni di distanza né ringoiare quella legittima contentezza di cui eravamo compresi nel constatare che viviamo più a lungo. Prove dirette contro le tavole di mortalità, così bruscamente tolte dalla modesta, sì, ma onesta ombra in cui riposavano non se ne sono messe avanti. Cerchiamo ora di guardarvi un poco più addentro, anche senza fare arricciare il naso ai lettori, i quali hanno il diritto di non essere troppo annoiati. Ecco, se noi consideriamo le tavole italiane per sé stesse, cioè all’infuori dell’uso che ne fa l’onor. Nitti, una punta di vero nell’accusa di ottimismo non manca, mentre se le consideriamo, come deve farsi nel caso presente, in relazione ai calcoli del monopolio la punta di ottimismo resta compensata da altre qualità o condizioni proprie delle tavole stesse. La prova è forse più semplice di quanto non possa sembrare a prima vista.
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A proposito delle tavole, come di ogni altra statistica, sono da distinguere molto nettamente gli elementi statistici per sé stessi dalle elaborazioni a cui vengono sottoposti. Queste possono giudicarsi tecnicamente buone e gli altri potranno ispirare i dubbi più fondati.
Gli elementi statistici che si adoperano per le nostre tavole sono i dati dei viventi e dei morti suddistinti in classi di età.
I dati dei morti ci sono forniti dai registri di stato civile e, considerata la fonte amministrativa da cui provengono, possiamo ritenerli sufficientemente esatti.
I dati dei viventi, invece, ci provengono dai censimenti e fra gli elementi raccolti con questo mezzo sono certamente dei più sospetti.
A renderli tali congiura una serie curiosa e interessante di circostanze che si intrecciano fra loro: ignoranza, tendenze caratteristiche che della nostra mente, sentimenti di vanità, ecc.
Vi sono quelli che non sanno oggi quanti anni abbiamo per la semplice ragione che non l’hanno mai saputo con precisione. Il caso è molto frequente nelle campagne. Vi sono altri che l’hanno dimenticato. Anche questo avviene più spesso nelle campagne i più nell’età avanzate. Vi sono altri ancora che non vogliono confessare l’età cui sono giunti e dichiarano meno anni di quelli che abbiano. Vi è, infine, la tendenza mentale, che sembra connaturata in noi, a fissarci nelle cifre rotonde o terminanti per zero, in quelle pari o anche terminanti per cinque, ovvero a richiamarci ad un anno di nascita approssimativo, che sarà un anno memorabile per qualche avvenimento (in Milano, ad esempio, coloro che affermano di essere nati nel 1848 sono grandemente in eccesso, bella e impensata manifestazione di patriottismo!) o un anno terminante per zero, per numero pari o per cinque.
Ma di questi errori, di cui in generale si risentono di più le popolazioni e le regioni meno alfabete e colte, a noi interessa di mettere in evidenza quelli della vanità e quelli delle cifre rotonde perché sono essi particolarmente che daranno una impronta alquanto ottimistica alle tavole italiane.
Che uomini e donne si calino gli anni, anche nelle denuncie dei censimenti, lo dicono tutti; come pure tutti dicono, e sono gli uomini specialmente a proclamarlo con un sorrisetto ironico, che sono le donne che commettono più spesso e più abbondantemente questo peccato moralmente veniale e statisticamente grave. Se del peccato però – lo accenno fra parentesi – sia da imputarsi solo la donna è da dubitare. Io ricordo che un giorno, mentre si discorreva a scuola di questo argomento, una studentessa si volse ai compagni, che ammiccavano e facevano sottovoce allegri commenti, e disse loro: «ma la colpa è vostra, che così ci volete!». Ma ciò che ora c’importa è semplicemente questo: che, per simile manifestazione di vanità, le classi di età più giovani saranno un poco ingrossate, la qual cosa sarà molto più notevole per le donne che per gli uomini. L’on. Nitti si è basato sulla mortalità dei maschi. Ed è sfuggito per ciò alle conseguenze più sensibili di questa prima causa d’errori.
La cosa è più grave per la tendenza alle età rotonde o alle date di nascita rotonde. Nel censimento della popolazione del 10 febbraio 1901 si richiese la data di nascita colla speranza di evitare gli errori constatati nel censimento precedente 31 dicembre 1881, nel quale si chiedevano gli anni compiuti. Per costruire le tavole, i viventi furono riportati, mediante un calcolo, a quello che dovevano essere il 1 gennaio dello stesso anno 1901.
Così le date di nascita rotonde vengono a corrispondere alle età rotonde.
In questa tendenza dell’arrotondamento cadono anche gli uomini, e in modo notevole, ma sempre in proporzioni più deboli delle donne. Non so se questo dipenda dall’avere le donne minori occasioni di richiamarsi a date memorabili della loro vita ovvero dal fatto che esse preferiscano così occultare un poco, sotto la maschera di una tendenza generale, quella certa ostilità per l’ingiuria degli anni di cui sopra si è visto. Ma ci preme di bene assodare che l’errore è per gli uomini molto maggiore di quello che trae origine dalla semplice vanità. Le tavole non potranno non esserne toccate, anche per la parte che si riferisce ai soli uomini.
Non bisogna però dimenticare a questo proposito due circostanze che hanno particolare valore per rispetto ai calcoli del Nitti, fondati sulle tavole del 1901 e ricorrenti all’esempio, molto preso di mira, di un’assicurazione fatta sulla testa di una persona avente l’età attuale di 30 anni, calcolati con la tavola M (maschi): che gli errori di questo genere verificatisi nel censimento 1901 sono senza dubbio minori di quelli dei censimenti precedenti e che gli errori più grossi non avvengono subito dopo i 30 anni, ma dopo il quarantacinquesimo anno. per dare un saggio di codesti arrotondamenti illeciti ricorro ai dati che per la città di Milano ci fornisce il censimento 1901, poiché l’ufficio statistico di questa città (e cordiale lode ne va data a chi lo dirige, al cav. Ravizza) ha pubblicati i risultamenti per suo conto fornendoci i viventi anno per anno di nascita, mentre la Direzione della statistica del Regno ha proceduto, dopo il quindicesimo anno di età, ad aggruppamenti triennali, quadriennali, che ci impediscono di scorgere l’effetto diretto e isolato degli arrotondamenti operati dai censiti. Prendo le date di nascita corrispondenti al trentesimo e al sessantesimo anno di età.
Anno di nascita | Maschi | Femmine | Totale |
1871 | 4012 | 3780 | 7792 |
1870 | 4104 | 4319 | 8423 |
1869 | 3889 | 4027 | 7916 |
1841 | 1761 | 1868 | 3629 |
1840 | 1781 | 2244 | 4025 |
1839 | 1556 | 1646 | 3202 |
Vediamo subito che i viventi a 29 o a 59 anni (che sono, appunto, i nati nel 1871 e nel 1841) darebbero di meno di quelli di 30 o di 60, e questo, in linea normale, è contrario al vero e al verosimile poiché le singole classi d’età più giovani debbono essere più numerose delle più anziane, assottigliate man mano delle morti avvenute.
Se l’errore poi avviene, e sensibile, in una città colta e civile come Milano non c’è dubbio che esso sarà maggiore presso le popolazioni rurali e in particolare modo nelle regioni dove gli analfabeti, ecc. sono nelle proporzioni elevate che tutti sappiamo. L’errore, in sostanza, per il complesso d’Italia, sarà – giova ripeterlo – veramente notevole.
Ora, come si riflette quest’errore di arrotondamento nei gruppi per età quali ci sono dati nei volumi del censimento 1901?
I gruppi quinquennali cominciano col venticinquesimo anno, e così abbiamo il gruppo degli aventi 25-30 anni, e poi i gruppi 30-35, 35-40, 40-45 e via dicendo.
L’errore ci si delinea nel modo più evidente. I gruppi che terminano per zero ci appaiono relativamente ingrossati in confronto del gruppo che li precede e di quello che li segue, i quali, appunto, terminano per cinque.
Ma non ho ancora specificato un punto essenziale, che è rimasto come sottinteso : l’ingrossamento dei gruppi terminanti per cifra tonda o corrispondenti alle date rotonde avviene a spese massimamente dei gruppi immediatamente successivi, del gruppo cioè dell’età immediatamente superiore o più anziana. Così il gruppo degli aventi 30-35 anni, quello degli aventi 35-40 anni a spese di quello degli aventi 40-45 anni, e così via via.
Perché ciò avvenga è molto semplice: o per vera e propria vanità o per istinto (ognuno interroghi se stesso!), qualora non si denunci l’età esatta, si denuncerà generalmente non un’età superiore, ma un’età inferiore, età che si tenderà a fissare nell’età rotonda sottostante, che non sia, ben inteso, troppo discosta dalla vera. E che sia proprio così, che cioè gli arrotondamenti non avvengano di solito a spese delle età più basse ce lo dimostra molto sicuramente il fatto che l’errore o le differenze sono più forti per le donne, a cui nessuno vorrà fare l’ingiuria di essere tanto poco consce dell’arte di piacere e di vincere nelle lotte della vita da accrescersi, per quanto a parole, il noioso fardello degli anni.
In conclusione, possiamo dire che i gruppi relativamente più giovani di età saranno, di volta in volta, ingrossati a danno dei successivi gruppi meno giovani.
Pervenuti a questo punto, vediamo subito come questo errore statistico di rilevazione, non eliminato con un diverso aggruppamento di anni, come in altri paesi si tenta di fare, abbia per effetto di insinuare una punta di ottimismo nelle tavole di mortalità e di sopravvivenza.
Queste tavole, a dirla grossolanamente, consistono, come si sa, in un confronto fra il numero dei viventi delle successive classi di età e i morti delle corrispondenti classi di età. Ne consegue che i confronti dei morti con una classe di età la quale sia più numerosa del vero porteranno ad un quoziente più basso, cioè all’indicazione di una mortalità inferiore a quella che effettivamente colpirà la classe d’età medesima.
Viceversa accadrà pei confronti con classe di età erroneamente diradata.
In concreto, la mortalità delle classi di età relativamente più giovani apparirà troppo bassa, come apparirà troppo alta quella delle classi meno giovani sovrastanti alle prime. E poiché le tavole dei sopravviventi si traggono da quelle di mortalità, così il numero di essi sarà troppo copioso per le classi più giovani e troppo scarso per le altre. In breve, l’ottimismo s’alternerà col pessimismo.
Codesti errori però, mi affretto a dichiararlo, sono rimasti attenuati mediante le elaborazioni e più precisamente le interpolazioni che si sono adottate nella laboriosa costruzione delle tavole, le quali sono da considerarsi come l’effetto di perfezionamenti tecnici svoltisi per secoli.
Le tavole di mortalità sono molto vecchie e può dirsi che la statistica e la demografia siano nate (mi si perdoni il bisticcio) da esse. Mi permetto, anzi, di ripetere, che le tavole italiane più recenti sono migliori delle precedenti (1881), anche per merito del funzionario della direzione di statistica prof. Alberto Beneluce. Ma, s’intende, anche l’elaborazione più fine non riuscirà a risanare interamente un vizio originale dei dati, perché anche l’elaborazione più fine, come la più bella ragazza, non può dare se ciò che ha!
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Ho detto in principio che la punta ottimistica delle tavole sarebbe stata compensata per rispetto all’uso che se ne fa nei calcoli del monopolio.
Ed infatti ho accennato nel corso dell’articolo: che l’errore pei maschi è minore, e quei calcoli si basano sui maschi, che l’errore è maggiore dal gruppo degli aventi 45-50 anni in su, e il disegno del Nitti comincia i calcoli dal trentesimo anno: che gli errori sono stati diluiti colle interpolazioni e quindi parzialmente corretti.
E ora aggiungo: che la maggior mortalità dei gruppi di età terminanti per cinque compensa per quanto solo in parte (è facile comprendere la ragione di questa limitazione riflettendo che la minore mortalità dei più giovani implica per il monopolio maggior numero di premi incassati e minori somme pagate in confronto del caso opposto che si ha per la maggiore o esagerata mortalità dei gruppi più anziani) la minore mortalità dei gruppi rotondi: che le tavole di mortalità generiche, estese cioè a tutta la popolazione, siano un’intensità di mortalità indubbiamente maggiore di quella ristretta a gente selezionata, quale è quella a cui si riferiscono le società di assicurazione-vita e a cui intende riferirsi il disegnato monopolio: che le tavole di mortalità della Direzione di statistica comprendono la popolazione di tutte le zone d’Italia e per ciò anche la popolazione meridionale e insulare che ha un’intensità di mortalità non poco superiore a quella dell’Alta Italia, mentre le assicurazioni-vita si fanno in molto maggior copia, a quanto si conosce, fra le persone dell’Italia settentrionale, a cui quindi si applica una mortalità non propria, una mortalità maggiore, con evidente pessimismo nei risultamenti dei calcoli serviti per l’infelice disegno di legge.
Mi pare, in verità, che non si possa dubitare che tutte le circostanze ora accennate non debbano neutralizzare, per non dire di più, la punta di ottimismo intrinseco rimasta nelle tavole che ora sono adoperate ad uso…di monopolio.
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Che poi queste benedette tavole siano ottimistiche per altre e misteriose ragioni io non saprei comprendere né spiegare. Se l’ottimismo, ad esempio, si accagiona, come ho fatto io, agli errori nella classificazione della età dei censiti, è certo che l’errore colpirà solo alcune, non tutte le successive classi di età, poiché se le colpisse tutte bisognerebbe credere addirittura all’accrescimento artificiale di tutta la popolazione, cioè alla fabbricazione fantastica di migliaia e di migliaia di cittadini italiani di tutti e singoli gli anni della vita.
Si è detto che i miglioramenti della vita italiana non potrebbero giustificare la diminuzione di mortalità (diminuzione che apparisce minore pel maggiore ottimismo delle tavole del 1881) quale si rileva confrontando la tavola in base al censimento 1881 con quella in base al censimento 1901.
In quest’anno di esposizioni e di entusiasmo cinquantenario come diventiamo pessimisti ad un tratto!
Molti e molti dati si potrebbero riprodurre in sostegno del miglioramento. La recentissima inchiesta pel Mezzogiorno, fatta senza preoccupazione di monopolio, ci ha fortunatamente provato che l’alimentazione, l’alloggio, l’igiene, ecc. di quelle popolazioni hanno fatto progressi mirabili, da parecchi anni in qua, grazie soprattutto all’emigrazione transoceanica.
Ma voglio limitarmi a riportare un solo dato, un dato fra i più omogenei o meno eterogenei alle tavole di mortalità incriminate: la mortalità dell’esercito, – che metto in relazione coi dati esprimenti il grado di selezione dei soldati, affinché non si dica che tutto il miglioramento nella mortalità militare è dovuto alla più rigorosa selezione.
Dichiarati abili per 100 giovani soggetti definitivamente alla leva e veterani. | Morti per 1000 uomini di forza media, non compresi i morti in licenza e gli invalidi | |
1880 | 56,5 | 9,5 |
1881 | 51,9 | 9,3 |
1882 | 58,2 | 8,9 |
1900 | 47,6 | 4,3 |
1901 | 46,0 | 3,5 |
1902 | 45,2 | 3,4 |
Si ammetta pure che il soldato ora è trattato meglio, ecc. ma non si potrà negare che la diminuzione di mortalità è superiore al rigore della selezione ed è in parte dovuta a quelle cause generali, determinatesi nel paese, che spiegano anche la diminuzione della mortalità generale.
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Tutto questo sia detto per la semplice verità delle cose. Il monopolio resta quella incomprensibile trovata che è anche se dei 100 argomenti lanciatigli contro ne leviamo uno. Il novello… San Sebastiano Nitti resta sempre trafitto fieramente anche se dalla nostra faretra leviamo uno strale, perché… spuntato.
Ma che non tutto il male del monopolio venga per nuocere! Si colga l’occasione per rimediare alla brutta lacuna della statistica italiana: approfittando dell’odierno censimento demografico si costruiscano tavole di mortalità e di sopravvivenza per teste scelte, cioè, almeno, per singole classi professionali e per condizioni di stato civile e si costruiscano in base a ripartizioni territoriali non troppo eterogenee (evitando, ad esempio, l’attuale bruttura che il napoletano sia considerato costituente tutta una regione).
Gli statistici da quella pacifica gente che sono, sarebbero pronti a chiamarsi compensati delle pungenti parole loro rivolte da alcuni di coloro che per iscalzare il monopolio hanno creduto necessario combattere una delle più caratteristiche elaborazioni della nostra statistica.
Il prof. Coletti, col suo acume e con la sua perizia di statistico provetto, analizza la tavola di mortalità italiana per dimostrare che essa può essere considerata sufficientemente attendibile. Ma il Coletti non può escludere:
- 1) che i dati primi della statistica forniti dal censimento siano inattendibili, per vanità, per tendenza alle cifre rotonde, per ignoranza, ecc. ecc. Chi in occasione del censimento di quest’anno ha avuto combinazione di compilare schede per conto di contadini, deve ammettere che solo per miracolo, ossia per l’intervento eccezionale di persone colte, i dati sull’età hanno potuto essere esatti. Quale influenza questi errori esercitino sulle tabelle di mortalità è in gran parte ignoto;
- 2) che le correzioni che si fanno dagli uffici statistici sono insufficienti a togliere gli errori.
E che questi errori possano esservi è dimostrato dalla sconcordanza enorme per le singole età tra la tabella di mortalità italiana e le altre estere basate sull’identica mortalità media (22.45 per mille). L’errore potrà essere nella tabella italiana o nelle tabelle estere: potrà anche non esistere in nessuna delle due, per un diverso comportamento della mortalità. Ma il ministro aveva obbligo di chiarire la cosa, quando la tabella doveva servire ad un fine pratico ed era la base di calcoli finanziari.
Del resto, tutte queste discussioni sulla tabella di mortalità, utilissime in sé, sono oziose ai fini del monopolio. Poiché è certo che un amministratore serio di una qualunque impresa assicuratrice (e quindi anche del monopolio, se a questo riuscisse di prendere ai suoi servigi persone serie e non deformarle col tempo) non si impaccerà menomamente di tabelle generali di mortalità: ma preferirà sempre quelle risultanti dall’esperienza passata delle stesse imprese assicuratrici. Queste sono le sole che valgano, perché sono le sole specializzate per quel fine a cui devono servire. Non è infantile preferire tabelle grezze, generali, a tabelle adatte alle teste scelte assicurate, tabelle che si sono andate perfezionando col tempo, che considerano la sola mortalità degli assicurati (che può essere più bassa della generale per la selezione medica, ma può diventare più alta per la selezione spontanea e volontaria degli assicurandi, i quali, se sani, non hanno interesse all’assicurazione), che la studiano all’atto dell’iscrizione e la seguono di anno in anno a mano che il contratto si perfeziona? Le tabelle di mortalità degli assicurati e dei pensionati sono diverse da quelle generali: perché diverse devono essere.
Né basterebbe ricavare dal censimento, come vuole il Coletti, la mortalità di classi scelte per professioni, ecc. Ricerca anche questa utilissima: ma non utile ai fini assicurativi, per cui occorre conoscere la mortalità degli assicurati e non di altri.
Il compito dello Stato potrebbe essere quello di provocare e controllare – coll’aiuto dei valenti attuari del Ministero e del Consiglio della previdenza – la formazione di una nuova tabella italiana speciale per gli assicurati. Le Compagnie che già, credo, hanno cominciato il lavoro, dovrebbero prestare ogni aiuto a questa opera di controllo governativo. Non è col Monopolio, ossia così diventare interessato a preferire tabelle favorevoli ai suoi interessi, che lo Stato può giovare alla causa della Previdenza, ma col rendere pubbliche nuove tabelle edotte alle nuove esperienze, a cui le Compagnie finiranno di doversi uniformare. Lo Stato, così operando, permetterà a nuovi concorrenti di sorgere su basi sicure e faciliterà viemmeglio la riduzione delle tariffe al costo. Il che si ottiene per virtù della concorrenza e non del monopolio.