Il momento degli scioperi. Rialzi del grano e del carbone ed interventi legislativi
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 24/03/1912
Il momento degli scioperi. Rialzi del grano e del carbone ed interventi legislativi
«Corriere della sera», 24 marzo 1912
I prezzi rialzano ancora. Stavolta però non si può ricorrere, all’abbondanza dell’oro. Questa è una causa di aumento generale, vasta, che influenza i prezzi in un periodo lungo di tempo e spiega perché il livello generale dei prezzi sia andato aumentando dal 1894 al 1912, mentre diminuiva del 1880 al 1894, per la ragione opposta di scarsa produzione d’oro e di demonetazione dell’argento. Nei periodi brevi di tempo e per le merci singole la spiegazione aurea non serve. Si comprende che i prezzi possono da un mese all’altro fare ogni sorta di salti, mentre la media annua varia di poco in confronto alla stessa media annua dell’anno precedente; e si comprende altresì che il livello generale dei prezzi possa rimanere invariato, mentre dei prezzi singoli alcuni aumentano ed altri diminuiscono per cause ad essi particolari. L’abbondanza dell’oro investe il livello generale o medio dei prezzi spingendolo in su: mentre aumenta il livello generale, i prezzi singoli possono andare soggetti alle più bizzarre danze.
Sfortunatamente per consumatori, negli ultimi mesi sembra che i prezzi abbiano preso in grande maggioranza la rincorsa verso l’alto. Guardisi la seguente tabella che si riferisce alle 44 merci considerate dall’Economist di Londra. Come è noto, per renderli paragonabili, gli statistici usano trasformare i prezzi effettivi in numeri indici, ossia suppongono che il prezzo per es. di 25 lire per quintale (prezzo effettivo corrente, del frumento nel momento iniziale sia fatto uguale ad un numero immaginario 100, che è il cosiddetto numero indice. È chiaro che se 25 lire del 1901-905 si suppongono uguali a 100 , e se il grano nel febbraio 1912 vale 30 lire per quintale, il suo numero indice nel febbraio stesso sarà di 120; perché 25 sta a 100 come 30 sta a 120. Si sa subito allora che il prezzo del grano nel febbraio 1912 è di 120 in confronto a 100; prezzo base nel 1901-905, ossia ancora si vede subito che il prezzo è aumentato del 20 per cento. Si ripeta il calcolo per un numero sufficiente di merci e si avrà una idea delle variazioni dei prezzi singoli, dei prezzi per categorie e del livello generale dei prezzi. Riproduco il calcolo dell’Economist, che fornisce i più rapidi numeri indici conosciuti. Gli altri arrivano tutti più in ritardo. Per l’Italia abbiamo quelli del Necco, il quale li pubblica periodicamente sulla Riforma Sociale; ma, dovendosi basare sulle statistiche del commercio internazionale, può compilarli soltanto una volta all’anno.
Anche quelli del Bachi nell’Annuario Sociale pubblica come suo supplemento, vengono fuori una volta all’anno. Del resto, nelle linee generali, l’andamento dei prezzi italiani coincide abbastanza bene con l’andamento dei prezzi di Londra. Ecco dunque la tabellina dell’Economist:
numero di indice base 1901-905 | Fine Gennaio 1911 | Agosto 1911 | Gennaio 1912 | Febbraio 1912 | |
Cereali e carni | 500 | 548 | 551,50 | 607,50 | 619 |
Altri prodotti alimentari (tè, caffè zucchero, ecc.) | 300 | 342,50 | 397,50 | 405 | 411 |
Tessili | 500 | 608,50 | 569,50 | 561 | 573 |
Minerali | 400 | 423 | 434,50 | 468,50 | 493 |
Diversi (legname, petrolio, gomma elastica ecc.) | 500 | 601 | 578 | 571 | 571 |
TOTALE | 2.200 | 2.523 | 2.531 | 2.613 | 2.667 |
Medesimo totale ridotto a 100 | 100 | 114,50 | 115 | 118,50 | 121 |
Il fatto che la base è, nei diversi gruppi, 500 ovvero 300 o 400, dipende da ciò che a comporre il gruppo cereali e carni entrano 10 merci, mentre solo 6 merci entrano a comporre gli altri prodotti alimentari. All’incirca si è data maggiore o minore importanza ai diversi gruppi di merci a seconda che essi entrano più o meno, direttamente od indirettamente, nel costo della vita dell’uomo. Il totale di 2.200 corrisponde al prezzo medio nel 1901-905 delle 44 merci considerate. Si è adottato il numero 2.200 invece di 4.400, che corrisponderebbe meglio alle 44 merci studiate, perché fino all’anno scorso l’Economist considerava solo 22 merci; e così si conservò una certa uniformità con la serie precedente di numeri indici. Per chiarezza il numero 2.200 viene ridotto a 100 nell’ultima linea, così da avere il movimento generale dei prezzi espresso in centesimi. Noto ancora che trattasi sempre di prezzi all’ingrosso correnti sui mercati di Londra e Manchester. Numeri indici di prezzi al minuto nessuno ne ha costruito finora, almeno estesi ad una lunga serie di anni e continuati periodicamente: e sarebbe difficilissimo di costruirne. Come regola generale si può dire che i prezzi al minuto seguono le oscillazioni dei prezzi all’ingrosso, con assai minori sbalzi; più lenti, anzi lentissimi a diminuire, sono anche più lenti ad aumentare.
Se si gitta lo sguardo sulla tabella si vede che i prezzi erano già cresciuti alla fine di gennaio 1911 del 14,50 per cento in confronto ai prezzi base del principio del secolo. Sulle cause di questo aumento è inutile ritornare. Trattasi del fenomeno generale del rialzo del livello generale dei prezzi che non può non essere ricollegato coll’aumento della circolazione aurea. Trattenendoci sugli aumenti più recenti, si vede che dalla fine gennaio alla fine di agosto il livello generale era rimasto pressoché costante, con un aumento insignificante da 2.523 a 2.531, di appena il mezzo per cento. Erano cresciuti il tè, lo zucchero, il riso, i cereali, lo stagno, ma in compenso erano diminuiti il cotone e la gomma elastica: poiché le variazioni quasi di compensavano. Il grande aumento, da 115 a 118,50, venne dopo, dopo la fine di agosto fino alla fine di gennaio 1912 e si accentuò a 121 alla fine di febbraio.
Quali le cause? Variano da gruppo a gruppo, anzi da merce a merce. Ci sono soltanto due gruppi che segnano una diminuzione: i prodotti tessili ed i prodotti diversi. Nei prodotti tessili, i quali discendono da 608,50 a fine gennaio 1911 a 573 a fine febbraio 1912, la diminuzione si spiega col grande ribasso verificatosi nel cotone, da 8,11 a 6 pence per libbra. Ribasso dovuto all’ottimo raccolto americano, che per la campagna 1911-912 si stima a 15,50 milioni di balle contro circa 13 nelle due campagne precedenti. Il ribasso nei prodotti diversi è tutto merito della gomma elastica, ribassata di circa 2 scellini la libbra.
Tutti gli altri gruppi sono in aumento. Aumentano il frumento negli ultimi tempi, soprattutto a causa dello sciopero ferroviario nell’Argentina che ha reso difficili le spedizioni da quel paese: e dello sciopero carbonifero inglese che paralizza il traffico marittimo e fa crescere i noli a causa della difficoltà di procurarsi carbone nei porti inglesi. Nelle altre derrate alimentari ribassa soltanto il tè, il cui raccolto fu abbondante nell’India ed a Giava; ma lo zucchero ed il caffè crescono. Il caffè cresce perché il raccolto 1911-912 nel Brasile è stimato a 12,25 milioni di sacchi, un po’ di più del 10,50 milioni del 1910-911; ma sempre meno dei 15 milioni del 1909-910 e dei 12,50 del 1908-909; onde gli stocks rimangono assai ridotti. Lo zucchero pure sostenutissimo a cagione della siccità dell’estate 1911-912 che ridusse il raccolto dello zucchero di barbabietole in Europa a 6.250.000 tonn. contro 8.105.126 tonn. nell’anno precedente, mal compensato da un aumento di mezzo milione di tonn. nello zucchero di canna.
La speranza che il prezzo potesse ribassare alquanto se si concedeva alla Russia di esportare in Europa mezzo milione di tonnellate andò delusa, perché la conferenza di Bruxelles ha limitato il diritto di esportazione della Russia nella corrente campagna a 150.000 tonnellate.
Ma il salto più spettacoloso si ebbe nella categoria dei minerali, a causa del rialzo dei prezzi del carbone: da 423 a 493 in un anno. Non è solo il carbone in verità che aumenta: la ghisa e il ferro sono più sostenuti, il rame è cresciuto di 6 lire sterline per tonn., lo stagno di 25 lire sterline. Sullo stagno e sulle azioni della Società stagnifere si va svolgendo una attivissima speculazione nel momento attuale perché la coltivazione della gomma elastica nell’India e nella penisola di Malacca ha distolto molti cinesi dalle miniere di stagno, di cui le più produttive sono localizzate negli stabilimenti inglesi degli Stretti (Malacca) e nelle isole olandesi di Banka e Billiton. Ma il vero trionfatore del mercato è il carbone. Da quando si parla di sciopero, prima previsto e poi attuato, il carbone non ha cessato di aumentare. L’antracite (best Swansea) è aumentata da 23 scellini a 6 d. la tonn. il 4 gennaio, a 28 scellini il 29 febbraio; il carbone da gas (Durham) da 12,6 a 16,3 scellini tra le stesse date; il carbone per piroscafi (Cardiff) da 17 a 23 scellini, ecc. ecc.. Più continua lo sciopero, più gli stocks diminuiscono, più i prezzi hanno probabilità di aumentare. Cessato lo sciopero, i prezzi non potranno subito ribassare essendo necessario alquanto tempo per ricostituire gli stocks. I piroscafi non trovando carbone, non possono caricare merci; e se si pensa che la flotta inglese supera da sola tutte le altre marine mercantili prese insieme, non parrà strano che 1/10 della marina mondiale si trovi immobilizzata nei porti in questo momento.
Se il frumento, il pane dell’uomo, ed il carbone il pane dell’industria, sono tanto cresciuti di prezzo in questi ultimi mesi, la causa non è dovuta dunque ad una scarsità della loro produzione ma ad un fatto momentaneo: lo sciopero nelle ferrovie argentine e nelle miniere inglesi. Uno scrittore francese ha detto recentemente che i grandi flagelli dell’epoca storica attuale non sono più le pestilenze e le guerre, ma gli scioperi: e la sua affermazione ha in sé molto di vero. Gli scioperi, che venti e trent’anni fa erano un fenomeno locale, il quale produceva effetti limitati ad uno stabilimento o ad una regione ristretta, ora si estendono a paesi intieri e i loro effetti si ripercuotono su tutto il mondo. Le Leghe operaie locali si sono unite in Federazioni nazionali e debbono combattere con Federazioni padronali altrettanto potenti. I prodotti delle industrie afflitte dallo sciopero o dalla serrata hanno per mercato il mondo; e la loro mancanza si fa sentire con un aumento generale di prezzi. L’operaio di Como e del Biellese, ove i setifici o i lanifici debbono – è da credere che non si giungerà a questi estremi – rallentare la produzione per difetto di combustibile, sentono vivamente che in Inghilterra si combatte una lotta gigantesca; e i consumatori di Milano e di Torino debbono ringraziare il ferroviere argentino affiliato alla «Fraternidad» se il prezzo del pane è cresciuto di qualche centesimo.
Si comprende perciò che da ogni parte si invochino rimedi che giovino ad impedire e prevenire questi arresti nella vita economica dei popoli, che esercitano influenze così disastrose e diffuse. E naturalmente gli sguardi di tutti si sono rivolti verso il signor Asquith, nella speranza che un breve articolo di legge imponesse la pace ai due ostinati contendenti e regolasse con acconce disposizioni, i rapporti vicendevoli per l’avvenire.
È l’idea più semplice quella che viene subito in mente e che il signor Asquith ha cercato di attuare con un progetto di legge. Mi sia consentito però di esprimere il mio profondo scetticismo sulla efficacia degli articoli di legge. Leggi se ne possono fare finché si vuole: ed i Parlamenti sono diventati vere macchine per far leggi. Ma già si vedono le conseguenze della sovra – produzione legislativa moderna. Quando una industria produce troppo, i prezzi ribassano e scoppia la crisi. Quando la macchina parlamentare fabbrica troppe leggi, queste deprezzano nell’opinione pubblica e rimangono lettera morta. Nell’Australia e nella Nuova Zelanda, c’è l’arbitrato obbligatorio. Ivi non dovrebbero perciò verificarsi scioperi, ed i prezzi dovrebbero essere «giusti», stabiliti con soddisfazione universale. Invece anche i direttori degli Uffici statistici australiani fanno le loro brave inchieste sul «rincaro della vita» , e i minatori di carbone della Nuova Galles del Sud si mettono in sciopero per protestare contro le sentenze della Corte d’arbitrato: e lo sciopero dura a lungo, con effetti perniciosi. Chi immagina di potere con una legge togliere la possibilità di grandi conflitti umani sbaglia di molto. Domani operai e padroni di miniere di carbone litigheranno per sapere se la Corte d’arbitrato od il Parlamento debbano fissare il minimo basandosi su ciò che l’industria può pagare e su ciò che è necessario all’operaio per vivere.
È chiaro che gli operai pretenderanno che si adotti il secondo principio, mentre gli industriali vorranno attenersi al primo. Nessuno dei due principi è atto del resto ad illuminare giudici e Parlamenti. Non esiste un salario che l’industria in genere sia in grado di pagare. Nel 1911, su 26 Compagnie di miniere carbonifere di cui si conoscono i risultati finanziari, una Compagnia distribuì un dividendo del 25 per cento, due del 20 per cento una del 14 per cento, cinque del 10 per cento, una dell’8,50 per cento, una dell’8 per cento, tre del 6 per cento, cinque del 5%, due del 4 per cento, una del 3 per cento, una del 2,50 per cento, mentre tre non distribuirono nulla. Se si pensa che i salari distribuiti in totale ai minatori inglesi sommano a 75 milioni di sterline ed i profitti netti delle Compagnie salgono a 7 milioni e mezzo, è evidente che fermi restando i prezzi, un rialzo dei salari del 10% basterebbe ad ingolare gli interi profitti degli imprenditori. Poiché i prezzi aumenteranno, ma non potranno, per la concorrenza, su certi punti viva, del carbone tedesco e nord-americano, aumentare tanto da far vivere le imprese che oggi perdono, è chiaro che un aumento dei salari del 10% potrà essere sopportato dalle imprese che guadagnano dal 10 al 25 per cento; ridurrà a nulla il guadagno di quelle che ora lucrano dal 5 all’8 per cento; e renderà impossibile la vita a quelle che oggi guadagnano il 4% o meno, ossia nemmeno tanto quanto basta ad ammortizzare il capitale di un’impresa avente vita temporanea fino all’esaurimento del minerale. Quale è dunque il salario che l’industria può pagare? Quello che lascia un margine discreto alle imprese che guadagnano da 10 a 25% o quello che riduce alla rovina le imprese che lucrano da 0 a 4 per cento? Veggasi qual problema insolubile pretendono risolvere i legislatori quando vogliono por fine agli scioperi. Né meno privo di significato concreto è il principio del salario minimo uguale a ciò che è necessario all’operaio per vivere. Vi sono in Inghilterra minatori di carbone che guadagnano da 5 a 6 lire sterline (da 125 a 150 lire italiana) per settimana; altri che si riposano per il resto della settimana quando in tre o quattro giorni hanno guadagnato da 75 a 100 lire nostre.
Nelle buone miniere il guadagno settimanale di 50 lire la settimana è certamente al di sotto della media. Quale sarà il minimo che il futuro magistrato dovrà dichiarare necessario all’esistenza? Ognuno reputa per lui necessaria la somma che egli è abituato a spendere: ed è impossibile trovare un criterio migliore.
In realtà l’opinione pubblica dovrebbe essere meno nervosa e non avere la pretesa assurda che tutti si abbia a vivere in pace l’uno coll’altro; a pena di multe, giudizi arbitrali, leggi del Parlamento e simili armi di pronto effetto apparente, inefficaci nella sostanza. L’esperienza, non la storia, è la grande maestra della vita. Dopo i grandi scioperi di vent’anni fa, l’Inghilterra industriale era stata tranquilla. Sembrava che l’era delle lotte fosse tramontata. Si; ma per la generazione che allora aveva lottato.
Nel frattempo però era sorta una nuova generazione di operai e di padroni, che non aveva sofferto le due conseguenze delle battaglie del passato e che voleva provarsi in nuovi cimenti. La nuova generazione trovò nuovi leaders.
Il vecchio Mabon, il minatore divenuto deputato del Galles, fu messo in disparte. I suoi consigli di moderazione sono poco ascoltati. E con lui è messa da parte la vecchia guardia trade-unionista. Nuovi segretari, giovani ed ardenti, ne hanno preso il posto e spingono alla lotta le masse.
Il meglio è di lasciarli sfogare. Quando avranno vinto su una parte del loro programma, impareranno anch’essi a diventare moderati; e fra vent’anni guarderanno col cuor gonfio ai novellini che li dipingeranno alla lor volta alle folle come la «vecchia guardia» timida e conservatrice. A poco a poco però le nuove generazioni migliorano. I nuovi leaders d’oggi, per quanto ardenti, sono più ragionevoli di coloro che guidarono le grandi battaglie del 1890 come questi erano dei moderati in confronto ai cartisti del 1840-1850, che combattevano sanguinose battaglie contro i soldati del vecchio Duca di Wellington. A lasciarli fare, in un mese i nuovi leaders avrebbero imparato che v’è molto più da guadagnare discutendo con gli imprenditori, magari coll’autorevole e imparziale mediazione del Governo, che non affidandosi ad una macchinosa procedura imposta da una legge improvvisata.
Anche il pubblico d’Inghilterra e d’Europa farebbe bene a non lasciarsi dominare dal nervosismo. Dopo tutto, i proprietari di miniere carbonifere non godono di un monopolio assoluto. L’insegnamento dello sciopero non andrà perduto, se spingerà a cercare e trovare surrogati del carbone. Già il prezzo del petrolio americano è aumentato notevolmente; segno che sono numerosi coloro che cercano di sostituirlo al carbone per forza motrice e riscaldamento. I motori ad olio pesante probabilmente trarranno grande impulso dallo sciopero inglese. L’ingegno umano troverà le maniere di rendere meno pericolose le eccessive pretese di coloro che ritengano di avere il monopolio di qualche bene necessario all’umanità. Ecco le maniere efficaci; con cui si può riuscire a diminuire davvero la violenza nelle oscillazioni dei prezzi e le sospensioni nelle industrie; nuove invenzioni tecniche ed educazione economica raffinata dall’esperienza di imprenditori ed operai. Certo, sono ardue queste maniere e conducono al successo coloro soltanto i quali sono capaci di uno sforzo: mentre la fabbricazione di una ricetta legislativa pare faccenda semplice. Ma le ricette legislative alla lunga non giovano: mentre lo sforzo è fecondo di bene.