Il Capo delle Tempeste
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 14/04/1903
Il Capo delle Tempeste
«Corriere della sera», 14 aprile 1903
La primavera è una stagione singolarmente favorevole alle epidemie di scioperi. Già da vari anni se ne fa l’esperienza in Italia; e sembra che nemmeno quest’anno le cose vogliano andare in modo diverso. Abbiamo già avuto uno sciopero generale a Roma, che si può dire sia miseramente fallito; a Milano parecchie piccole manifestazioni si vanno susseguendo; ed altrove altre maestranze si preparano ad abbandonare il lavoro. Né il fenomeno è limitato all’Italia; poiché a Basilea scioperano i muratori e si minaccia lo sciopero generale; a Marsiglia per l’ennesima volta una parte dei lavoratori del porto abbandonano le calate; e persino nella flemmatica Olanda i ferrovieri si rifiutano a far marciare i treni e, – con il solito insuccesso – si fa un tentativo di sciopero generale.
Ora una domanda viene spontanea al labbro: sono sorti fatti nuovi, i quali giustifichino queste domande di miglioramenti economici da parte delle classi operaie? I guadagni delle industrie e dei commerci hanno una tale tendenza all’aumento da rendere consigliabile agli operai di correre alla conquista di una parte di codesti cresciuti guadagni?
Attraversa in questo momento l’economia europea – e per rimbalzo l’economia italiana – un periodo di prosperità o di depressione, ovvero ha la tendenza di incamminarsi verso il primo od il secondo di questi stati? è chiaro che se si potesse dare una risposta precisa a questa domanda, se ne potrebbe ricavare un notevole partito per giudicare della ragionevolezza delle domande operaie. Anzi i capi dei movimenti operai dovrebbero anzitutto cercare di rispondere a questa domanda generica e ad altre congeneri relative alle loro industrie e località prima di avventurarsi in una guerra che può condurre a disastri gravissimi.
Purtroppo la risposta a queste domande è tutt’altro che facile; e deve basarsi su dati in gran parte monchi. Ma, esaminandolo accuratamente, una cosa appare evidente: che noi ci troviamo, nel momento presente, ad uno di quei punti incerti che possono voler dire l’inizio di tempi migliori od il principio di una crisi. Veggasi la serie seguente, la quale è la notissima serie dei prezzi indici del Sauerbec:
I. |
| II. |
| III. |
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1883 | 82 | 1890 | 72 | 1900 | 75 |
1884 | 76 | 1891 | 72 | 1901 | 70 |
1885 | 72 | 1892 | 68 | 1902 | 69 |
1886 | 69 | 1893 | 68 |
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1887 | 68 | 1894 | 63 |
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1888 | 70 | 1895 | 62 |
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1889 | 72 | 1896 | 61 |
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| 1897 | 62 |
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| 1898 | 64 |
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| 1899 | 68 |
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Le cifre corrispondenti a ciascun anno ci indicano il livello medio dei prezzi rispettivamente alla cifra del 1867-77, che è considerata come normale e fatta eguale a 100. Ragionando all’ingrosso, si può dire che quando la cifra aumenta, i prezzi sono rialzati, gli affari vanno bene, i profitti crescono, ed è il momento buono per gli operai per chiedere un miglioramento dei salari; e viceversa quando la cifra dei prezzi indici scende. Se noi badiamo alle tabelle, vediamo che l’Europa economica ha attraversato tre periodi distinti: il primo va dal 1883 al 1889: e durante esso, dopo un massimo di prosperità (1883), si discende ad un minimo con 68 nel 1887 per risalire a 72 nel 1889. Nel secondo, che fu più lungo, si va da un massimo di 72 lire nel 1890 ad un minimo di 61 nel 1896, per risalire a 68 nel 1899. Il terzo periodo è quello nel quale ci troviamo; e sinora di esso abbiamo percorso (non si sa se in tutto od in parte) la prima porzione, quella discendente, che va da 75 nel 1900 a 69 nel 1902. Gli affari nel 1902 andarono molto peggio che nel 1900: informino la fierissima crisi economica germanica; il ristagno dell’economia francese ed il deficit del suo bilancio; la mancata ripresa in Inghilterra degli affari, ripresa che tutti speravano vivissima dopo la fine della guerra del Transval. Sinora l’Italia ha saputo sottrarsi a questa ondata deprimente che gravava sulle altre nazioni d’Europa; ma se la depressione avesse ad accentuarsi e da 69 discendere, come nel secondo periodo, a 61, anche noi non potremmo sottrarci al contraccolpo del disagio universale. Potrebbe anche darsi che nel 1902 si sia già toccato l’imo fondo dei prezzi e dei profitti; e che, come già avvenne nel primo periodo, sia vicina la resurrezione e ci si possa arrivare presto a prezzi più alti. Ma oggi sarebbe prematuro di dire se il periodo 1900-902 sarà più somigliante al periodo 1883-89 od a quello 1890-99. La soluzione dell’incertezza nella quale presentemente ci troviamo dipende da molti fattori: dalla rapidità con la quale la Germania liquiderà le ultime vestigie delle sue crisi bancaria ed industriale; dal procedere dell’opera di ricostituzione dell’Africa del Sud, dal rimarginarsi delle ferite mortali arrecate dalla siccità alla industria pastorizia dell’Australia, dalla capacità dell’America di compiere la laboriosa digestione delle sue intraprese altamente speculative e dalle lotte titaniche fra minatori e capitalisti. Se tutto andrà bene, dopo un 1903 più o meno laborioso ed affaticato, avremo uno splendido 1904. Ma ci vuole prudenza. Stiamo oltrepassando il Capo delle Tempeste; ed il capitano della nave deve usare tutta la sua esperienza e la sua fermezza per non lasciarla calare a fondo. Ci sono parecchi indizi i quali ci fanno credere che non tutti i pericoli siano stati scongiurati. In America il Morgan ha dovuto intervenire con una intervista per assicurare il mondo finanziario esservi ogni probabilità che per lungo tempo le cose debbano volgere bene. La cosa ha stupito, data l’abitudine del Morgan di non parlare mai: e l’Economist di Londra ironicamente commentando l’intervento del grande banchiere new-yorkese, ha messo in dubbio che la soluzione delle difficoltà presenti debba essere così rapida come il Pierpont Morgan affetta di credere.
Intanto in Inghilterra il Cancelliere dello Scacchiere, chiudendo i conti dell’anno che finisce il 31 marzo, ha avuto lo spiacevole obbligo di dover constatare che le entrate del tesoro erano state per 633 mila lire sterline inferiori alle sue previsioni. Piccola somma in verità, ma grande come indizio che la elasticità dei consumi è molto meno grande di quanto non fosse anni addietro. Le masse nell’Inghilterra evidentemente guadagnano meno: e ciò è provato dal fatto che mentre nel 1900 ben 1.135.785 operai ottenevano in media un aumento di 3 scellini ed 8 e un quarto denari a testa per settimana di salari, nel 1901 invece 922.253 operai erano costretti ad una diminuzione di uno scellino ed 8 denari e nel 1902 altri 874.673 operai perdevano 1 scellino e 7 e tre quarti denari a testa di salario settimanale.
Se, accanto a questi, si esaminassero altri dati, come quelli delle principali Banche di emissione, si vedrebbe che l’ora presente è un’ora incerta. Non si sa se sia il crepuscolo che precede la notte o l’alba annunziatrice di uno splendido meriggio.
In tali condizioni ogni azione avventata può essere pericolosa ed impedire per lungo tempo l’equilibrio che si sta faticosamente ricostituendo. Se lo rammentino i capi degli operai; e pur cercando di integrare i dati ora esposti con altri più specifici, non dimentichino che l’Italia è parte di un più vasto aggregato economico e che dalle vibrazioni di questo aggregato noi subiamo fatalmente i contraccolpi.