Il riconoscimento delle leghe operaie
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 27/07/1901
Il riconoscimento delle leghe operaie
«La Stampa», 27[1], 29[2] luglio 1901
Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), Einaudi, Torino, 1959, vol. I, pp. 408-416.
I
Le discussioni che si sono fatte intorno al recente lodo arbitrale dell’on. Zanardelli hanno reso di molta attualità la questione del riconoscimento giuridico delle leghe e delle rappresentanze dei lavoratori. Da molti si disse: se le leghe fossero state riconosciute legalmente, gli armatori non avrebbero potuto sollevare in limine litis la nota pregiudiziale, e l’arbitrato avrebbe potuto proseguire fino alla definizione della vertenza. La questione è grave. Si sa che il presidente del Consiglio sta preparando un disegno di legge relativo appunto alla rappresentanza giuridica dei lavoratori; ma si ignora quali siano i concetti fondamentali della nuova legislazione e quale sia la portata della personalità giuridica che si vorrebbe attribuire alle leghe. Prima di dire quali, secondo il nostro parere, dovrebbero essere gli intenti del legislatore nel codificare questa materia, crediamo opportuno di esporre brevemente i concetti informatori delle leggi straniere a questo proposito. Poiché il problema del riconoscimento giuridico delle leghe si pose anche altrove, e fu in tempi diversi diversamente risoluto da paesi più innanzi di noi nello sviluppo industriale.
Il dibattito fu sovratutto lungo e vivissimo in Inghilterra. La legislazione era stata in passato contraria alle leghe operaie. Una legge del 1800, che riassumeva le disposizioni anteriori, dichiarava illegali gli accordi fra giornalieri ed altri operai per ottenere aumenti di salario, riduzioni delle ore di lavoro, o qualsiasi altro mutamento nei patti del lavoro. Coloro che si accordavano a tali intenti potevano essere sommariamente condannati alla prigione dai giudici di pace, i quali potevano infliggere la medesima pena a chiunque cercasse, con la persuasione, con la intimidazione od altrimenti, di impedire ad un operaio di accettare o di continuare un qualsiasi lavoro. Contro la draconiana legislazione, i lavoratori lottarono con pertinacia e con vigoria per lunghi anni. Vittoriosi nel 1824, novamente sconfitti nel 1825, riuscirono finalmente con l’atto del 1871, emendato nel 1876, a conquistare quella che a ragione fu detta la magna charta delle libertà operaie. Le Trade-Unions o leghe operaie furono dichiarate lecite sia che siano costituite, temporaneamente o permanentemente, fra operai ed operai, tra imprenditori ed imprenditori, e tra operai ed imprenditori, malgrado che esse abbiano per intento di imporre condizioni restrittive alla condotta di una industria o di un commercio. Se ognuno può associarsi ad altri, nessuno può però essere costretto a rimanere nella lega ed a pagare la promessa contribuzione o ad obbedire alle regole che la lega ha imposto ai suoi membri riguardo ai modi di impiegare altrui o di collocarsi come salariato presso altri. In conclusione, massima libertà per tutti, operai ed imprenditori, di associarsi per difendere i propri interessi; ma facoltà illimitata a tutti di ritirarsi dalla lega o di non obbedire alle regole sociali, quando ciò dal socio non sia ritenuto conveniente.
Le norme, in quanto sanciscono il diritto di associazione operaia e padronale, valgono per tutte le leghe. Una volta costituite, le leghe possono, senza esservi obbligate, fare registrare i propri statuti presso l’ufficio del registratore delle Friendly Societies o società amichevoli. La registrazione – la quale, si noti bene, è puramente facoltativa – impone alle società dei doveri ed attribuisce dei diritti. I doveri sono i seguenti: 1) inviare al registratore il proprio atto costitutivo, gli statuti, i regolamenti, la lista dei nomi del presidente, dei segretari, tesorieri ed altri funzionari della lega. Le leghe sono completamente libere di assumere il nome (purché non sia già adottato da altra lega) che preferiscono, di adottare quella organizzazione speciale, accentrata e federativa che desiderano. Esse devono soltanto negli statuti specificare gli scopi della lega, il modo di compilare, modificare e revocare i regolamenti, l’impiego dei capitali sociali, i tempi ed i modi delle elezioni alle cariche sociali, ecc.; 2) ogni anno le leghe devono mandare al registratore un resoconto delle entrate, spese e dello stato patrimoniale della società, distinguendo le varie spese a norma degli scopi sociali. Copia del resoconto deve essere inviata ai soci richiedenti. La violazione delle regole importa il pagamento di una multa di 125 lire.
Agli obblighi corrispondono i diritti: 1) la lega è rappresentata dai suoi amministratori e può possedere beni mobili od immobili. Non vi è limite alla quantità di beni mobili che può essere posseduta dalle leghe; quanto ai beni immobili, la loro estensione non può superare un’acre, ossia 4.000 metri quadrati; 2) gli amministratori possono citare ed essere citati in giudizio per tutto quanto si riferisce ai beni mobili ed immobili posseduti dalla lega, ma non per altro, e non possono quindi stare in giudizio per questioni di indole industriale, essere obbligati a pagare multe inflitte ai soci per contravvenzione a regolamenti di fabbrica o ad accordi presi tra operai e padroni, citare in giudizio i soci per obbligarli a pagare le quote sociali, essere citati dai soci a pagare i soccorsi promessi in caso di sciopero, malattia, vecchiaia, disoccupazione; neppure possono essere citati in giudizio dagli imprenditori quando gli operai abbiano violato un patto conchiuso collettivamente dalla lega e relativo alle condizioni del lavoro; 3) i tesorieri delle leghe sono obbligati a rendere regolare conto dei fondi sociali, e consegnare, a richiesta, agli amministratori il patrimonio e le carte sociali. Se il tesoriere trasgredisce ai suoi obblighi, gli amministratori possono farlo citare in giudizio ed ottenerne la condanna alla restituzione delle somme indebitamente appropriate ed al pagamento delle spese.
Qui è tutto quel che si riferisce al riconoscimento giuridico delle leghe tra operai in Inghilterra.
Le stesse disposizioni furono quasi testualmente copiate dai legislatori delle colonie inglesi: Canadà, Australia, Nuova Zelanda, ecc. Se ben si guarda, l’unico intento della legislazione anglo-sassone si è quello di garantire la libertà di associazione, di riconoscere la personalità delle leghe per quanto si riferisce ai fondi sociali e di proteggerle contro i latrocinii dei cassieri, i quali, profittando della inesistenza giuridica delle leghe, potevano appropriarsi i fondi sociali senza che le leghe avessero modo di tradurli in giudizio. La legge non crea alcuna rappresentanza legale degli operai, né in genere, né per singoli mestieri; anzi, in una medesima industria possono costituirsi parecchie leghe fra di loro concorrenti. La legge non obbliga gli operai ad iscriversi ad una lega e neppure ad osservare gli statuti della società in cui si sono iscritti e da cui possono sempre uscire. Le leghe degli operai possono conchiudere colle leghe degli imprenditori i patti relativi alle condizioni del lavoro; ma non sono responsabili del loro adempimento e non possono essere costrette a pagare i danni quando gli operai contravvengano ai patti conchiusi. La personalità giuridica non è imposta a tutte le leghe, ma attribuita a quelle sole che lo desiderino. Le leghe non registrate – e sono molte – vivono all’infuori delle garanzie concesse dalla legge riguardo all’amministrazione sociale ed al maneggio dei fondi di cassa. In sostanza questa è l’unica differenza veramente importante che le distingue dalle leghe registrate. Questo è bene fosse messo in rilievo: che l’unica forza di cui le Trade-Unions godono in Inghilterra è ancora una forza morale, di fatto. Gli imprenditori contrattano con le leghe non perché le possano obbligare a rispettare gli impegni assunti, ma perché sanno essere le leghe corpi fortemente costituiti, che mantengono la parola data ed esercitano un’influenza morale decisiva sugli operai in guisa da indurli ad osservare le convenzioni accettate dalla lega.
Più breve discorso faremo rispetto agli altri paesi. In Francia la legge del 21 marzo 1884 aboliva la legislazione del 1791 la quale vietava le associazioni operaie. I sindacati od associazioni professionali possono essere istituiti senza uopo di consenso governativo. Gli statuti e le liste dei nomi dei componenti la direzione devono inviarsi al sindaco. I sindacati possono unirsi in federazioni. Essi possono accumulare fondi ed impiegarli per gli scopi sociali. Ogni socio può ritirarsi dal sindacato, nonostante patto in contrario, pagando la quota dell’anno corrente. I sindacati possono essere consultati quando sorgano controversie sui patti del lavoro. Essi possono prendere parte agli appalti di lavori pubblici banditi dal governo e dai comuni.
Nel Belgio la legge del 31 marzo 1898 combina insieme le disposizioni delle leggi inglesi e francesi.
In Germania il codice industriale del 1869 garantisce la libertà di associazione. Ma le leghe operaie non hanno personalità giuridica, non possono possedere, citare ed essere citate in giudizio.
In Austria la legge del 7 aprile 1870 dichiara non essere illegali le coalizioni temporanee fra operai allo scopo di migliorare le proprie condizioni. Quanto alle associazioni permanenti, la legge del 15 novembre 1867 le permette, quando al governo, caso per caso, ciò sembri conveniente, circondando però tale permesso con condizioni poliziesche, come l’obbligo di comunicare alle autorità il nome di tutti i soci, di lasciare intervenire ad ogni adunanza un rappresentante del governo, ecc. ecc.; condizioni incompatibili colla libertà di associazione e di resistenza.
II
Sul fondamento della esperienza fatta altrove e dei principii economici è possibile dire quali dovrebbero essere i principii informatori della legge di riconoscimento delle leghe operaie. L’esempio migliore da seguire è ancora quello inglese, al quale i legislatori dei paesi industrialmente più progrediti si sono inspirati. Come in Inghilterra, le leghe debbono essere libere di esistere unicamente in fatto, in virtù del principio generale della libertà d’associazione. Quelle fra le leghe che lo desiderino devono poter acquistare la personalità giuridica, col solo uniformarsi a certi requisiti voluti dalla legge. Questi requisiti devono consistere sovratutto nella pubblicità degli statuti ed atti sociali, dei bilanci annui, ecc. Gli statuti debbono contenere le norme relative alle nomine alle cariche sociali ed enunciare gli scopi sociali, liberamente stabiliti dai soci, purché non contrari alle leggi ed all’ordine pubblico. Nessun altro obbligo deve essere imposto alle leghe, se non si vuole soffocare il movimento operaio con soverchie restrizioni.
Come gli obblighi, anche i diritti che si dovranno riconoscere alle leghe sono semplicissimi: riconoscimento della personalità giuridica col diritto di possedere gli immobili necessari per gli scopi sociali ed una quantità illimitata di beni mobili. Gli amministratori delle leghe abbiano il diritto di citare e stare in giudizio per quello che si riferisce alla proprietà ed all’amministrazione dei fondi sociali. Essi siano responsabili di fronte ai terzi ed ai soci per gli obblighi imposti dallo statuto, per la esatta tenuta dei conti e la sorveglianza sui tesorieri, cassieri ed impiegati sociali. Le leghe possano impiegare i fondi sociali per il raggiungimento degli scopi indicati nello statuto, purché non siano contrari all’ordine pubblico. Possano cioè formare dei fondi per aiutare gli operai in caso di sciopero, di disoccupazione forzata, di malattia, di invalidità, di vecchiaia, di viaggio per trovar lavoro, istituire uffici di collocamento, di conciliazione, ecc. Gli amministratori devono essere liberi di stornare le somme esistenti in cassa da uno scopo all’altro, a seconda che l’uno o l’altro sia più urgente da raggiungere ed i soci non devono poter pretendere un diritto acquisito sui fondi accumulati a scopo di previdenza e mutuo soccorso.
Questi e non altri ci sembra debbano essere i principii informatori della legislazione relativa alle leghe. Andar più in là sarebbe pericoloso sotto parecchi rispetti.
Noi non crediamo, ad esempio, conveniente che la legge dia norme troppo minute riguardo all’impiego dei fondi sociali. Chi entra in una lega sa benissimo che lo scopo principale è quello dell’elevazione delle sorti dell’operaio mediante la resistenza. Egli spera che la società mercé i fondi accumulati possa dargli altresì un sussidio in caso di malattia o di vecchiaia o di disoccupazione volontaria. La speranza non deve tuttavia convertirsi in diritto, poiché può darsi che l’interesse sociale esiga che tutto il fondo di cassa sia speso in uno sciopero. Dopo la vittoria i soci potranno ricostituire il capitale consumato e dedicarlo ad adempiere gli altri scopi sociali. Se si facesse altrimenti, le leghe si convertirebbero in società di mutuo soccorso pure e semplici. Gli operai inglesi non hanno mai voluto saperne di vincoli che avrebbero ridotto le loro mirabili leghe, – organi di mutua assicurazione in tempo di pace sociale ed organi di resistenza in tempo di lotta, – alla funzione di distribuire soccorsi secondo certe tabelle regolamentari. È da sperare che anche gli operai italiani vedranno il pericolo e sapranno stornarlo.
La legge non dovrebbe dare alle leghe la qualità di rappresentanti legali della classe dei lavoratori. Ciò discende logicamente dalle cose dette. Se le leghe devono essere libere di costituirsi, di chiedere o non il riconoscimento giuridico, di proseguire differenti scopi sociali a seconda degli interessi dei soci, ne deriva che esse non possono trasformarsi in una istituzione pubblica, rappresentante tutti i lavoratori, come la camera di commercio, a cui appartengono tutti coloro che hanno le qualità richieste per essere elettori commerciali. Se si vuole creare una rappresentanza dei lavoratori, a somiglianza delle camere di commercio e dei comizi agrari, si creino delle camere del lavoro ufficiali, le quali abbiano la funzione di presentare memoriali al governo sugli interessi della classe lavoratrice, di fare indagini sulle condizioni degli operai, ossia di fare quelle cose talvolta utili e talvolta indifferenti che fanno o non fanno le ufficiali camere di commercio ed i sonnolenti comizi agrari. Ma è chiaro che istituzioni pubbliche di questo genere non hanno nulla a che fare colle leghe, le quali sono, è bene ripeterlo ancora una volta, associazioni di operai che volontariamente si riuniscono per migliorare, a volta colla resistenza ed a volta colla mutua assicurazione, le proprie sorti.
La legge non deve rendere obbligatoria l’iscrizione degli operai alle leghe. Chi sappia cosa erano le corporazioni d’arti e mestieri nei secoli scorsi, i danni da esse arrecati alla economia ed alla produzione, comprenderà senz’altro l’importanza del nostro asserto. Può sembrare a molti ozioso combattere contro un’istituzione morta da un secolo. Ma purtroppo vi è chi si illude di fare opera di progresso facendo risorgere istituzioni medioevali; ed è tendenza altresì disgraziatamente diffusa nelle leghe a volere imporsi, annullando la libertà del lavoro, anche agli operai ribelli all’associazione. Pretesa assurda che distruggerebbe il fondamento medesimo della nostra vita economica.
La legge non deve imporre ai soci di uniformarsi alle deliberazioni sociali che non riguardino l’impiego del fondo della lega e le altre deliberazioni statutarie. La norma discende dal principio della libertà del lavoro. I soci di una lega possono, volendo, obbedire ad una deliberazione di sciopero; ma non debbono esservi obbligati. Il socio deve sempre poter uscire dalla lega, pagando la contribuzione dell’esercizio in corso, senza avere alcun diritto ad una parte del patrimonio sociale. Il che è evidente poiché il patrimonio sociale deve servire agli scopi indicati dallo statuto e solo in via indiretta a beneficio particolare dei soci.
Le leghe non devono avere personalità giuridica per obbligarsi di fronte agli imprenditori a fare osservare dai soci operai i contratti relativi al lavoro. Se gli operai vogliono obbligarsi collettivamente di fronte all’imprenditore ad eseguire un lavoro in un dato tempo, con certe regole, ecc., si costituiscano in società cooperativa ed avranno raggiunto il loro scopo. Ma una lega non deve poter assumere obblighi giuridici riguardo al contratto di lavoro. Altrimenti i fondi sociali saranno posti alla mercé degli imprenditori che abbiano voglia di litigare per il non adempimento di certe clausole di un contratto di lavoro conchiuso dalla lega a nome dei suoi operai. Gli operai inglesi non hanno mai voluto ottenere la personalità giuridica per le loro leghe in questo senso; ed hanno fatto benissimo.
A molti potrà sembrare che un riconoscimento giuridico con le limitazioni ora ricordate non abbia nessuna importanza. A noi sembra invece – e l’esperienza è d’accordo con noi – che solo in tal modo le leghe operaie possano diventare un mezzo potente di elevazione sociale.
Prive del diritto di costringere gli operai a seguire i loro cenni, esse dovranno dimostrare coi fatti di essere capaci di procacciare il bene ai loro soci.
Prive della personalità giuridica per quanto si riferisce all’esecuzione dei contratti di lavoro, gli imprenditori consentiranno a trattare colle leghe, non perché sapranno di poter chiedere in tribunale i danni e gli interessi in caso di inosservanza del contratto, ma perché avranno fiducia che la forza morale delle leghe sia tale da indurre gli operai a rispettare i patti convenuti. Il che, quanto giovi a disciplinare ed ad educare al concetto del dovere le maestranze operaie non è chi non veda.
Dotate del diritto di possedere, le leghe che adesso in Italia, colla leggerezza dei giovani e dei poveri, troppo facilmente iniziano scioperi ingiustificati, diverranno prudenti. Gli amministratori di una lega, forte di decine o di centinaia di migliaia di lire di capitale, rifletteranno a lungo prima di azzardare i risparmi, faticosamente accumulati, in uno sciopero, di cui l’esito possa essere disastroso. Il che vuol dire che le leghe faranno quelle sole domande che siano compatibili colle condizioni dell’industria e siano, per ciò stesso, giustificate.