Prefazione
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/01/1956
Prefazione
Lo scrittoio del Presidente (1948-1955), Einaudi, Torino, 1956, pp. 1-3
Nel testo della Costituzione della Repubblica italiana si leggono le seguenti norme:
nell’articolo 74:
Il presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato alle camere chiedere una nuova deliberazione.
nell’articolo 87:
Il presidente della Repubblica… autorizza la presentazione alle camere dei disegni di legge di iniziativa del governo.
nell’articolo 95:
Il presidente del consiglio dei ministri dirige la politica generale del governo e ne è responsabile…
È chiaro che il presidente della Repubblica non è trattenuto da alcun limite specifico nell’uso della facoltà che l’articolo 74 gli dà di chiedere una nuova deliberazione prima di promulgare leggi le quali traggano origine da disegni di legge di iniziativa parlamentare. Il limite è dato dalla norma generale costituzionale (articolo 70) in virtù della quale «la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere». In ossequio a siffatto principio, ho fatto uso, della facoltà di chiedere una nuova deliberazione, in alcuni pochi casi, che parvero particolarmente rilevanti (i messaggi sono qui prodotti nel Libro quarto al n. III).
Per quanto tocca invece i disegni di legge di iniziativa governativa, la facoltà del presidente della Repubblica non può non essere interpretata tenendo conto dell’altra facoltà, a lui spettante in virtù dell’articolo 87, di autorizzare la presentazione alle Camere di quei disegni. A meno che si voglia ritenere l’autorizzazione dell’articolo 87 una mera formalità – opinione a cui evidentemente non potrei aderire – l’articolo 87, letto insieme con l’articolo 74, pone, quando la legge di iniziativa del governo sia stata poi votata dalle Camere, un chiaro limite al diritto di messaggio del presidente. Se questi ha autorizzato il governo alla presentazione del disegno di legge e se la legge votata non è in contrasto, nelle cose essenziali, con il disegno di legge originario, come può il presidente, non dico in punta di diritto stretto, ma di mero buon gusto, chiedere una seconda deliberazione su una legge che egli medesimo aveva dianzi dichiarato potere essere presentata al Parlamento?
Risolsi, ogni volta che esso si presentò il quesito dichiarando nella maniera più chiara possibile, senza le attenuazioni e le circonlocuzioni proprie non di rado delle prose ufficiali, le mie osservazioni ed i miei dubbi; ed inchinandomi, nel tempo stesso, sia con l’apposizione preventiva della firma di autorizzazione, sia con l’avvertenza che la firma sarebbe stata senz’altro apposta qualora il ministro competente avesse rinviato il provvedimento, al proposito del governo di dar seguito a quella che era la sua politica.
Ho dato cioè alla norma dell’articolo 95 per cui «il presidente del consiglio dei ministri dirige la politica generale del governo», una interpretazione che, forse, è più larga della lettera della Costituzione, ma che ritengo conforme al sistema voluto dalla Costituente: la politica del paese spetta al governo il quale abbia la fiducia del Parlamento e non invece al presidente della Repubblica.
Il che non vuol dire che il presidente della Repubblica non possa persuadersi che quella fiducia non possa essere tolta dallo stesso Parlamento, ovvero non possa essere sottoposta al saggio di uno scioglimento delle Camere. Durante il settennato a me non accadde mai di formulare, a proposito di qualche rilevante disegno di legge, ipotesi tanto grave di conseguenze.
Perciò le osservazioni da me trasmesse a proposito dei disegni di legge di iniziativa governativa non hanno avuto mai, anche quando il tono può apparire vivace, indole di critica, sibbene di cordiale cooperazione o di riflessioni comunicate da chi, anche per ragione di età, poteva essere considerato un anziano meritevole di essere ascoltato.
Non sempre, e non so neppure se nel più dei casi, le osservazioni si riferivano a disegni di legge, ed invece traevano origine da discussioni in corso, da letture di rapporti ministeriali o diplomatici, da esigenze di partecipazioni a convegni internazionali, o da avvenimenti o problemi o sciagure nazionali, su cui si fosse fermata l’attenzione degli italiani, i quali non potevano quindi essere ignorati dal presidente.
Le scritture, così assai misuratamente comunicate, hanno ottenuto qualche risultato? Le premesse ora fatte dicono già che alla domanda non si dà volutamente alcuna risposta. Non essendo mio ufficio influire sulla politica del governo, le mere inchieste che avessi compiuto in proposito mi sarebbero parse usurpazione di poteri altrui; e siffatta mia opinione ha assai agevolato la compilazione della presente silloge di documenti. I quali giungono sino al punto nel quale uscirono dalle mie mani e non vanno al di là. Poiché essi registrano soltanto, riflessioni, non consigli, né avvertimenti, le quali potevano essere messe in carta, qualsifosse la veste dello scrivente, i documenti nulla dicono, né possono dire sulle impressioni che la pagine da me dettate poterono suscitare nella mente di coloro a cui ne infliggevo la lettura.
La limitazione conferma, del resto, un canone da me da gran tempo sostenuto, sebbene non condiviso dai più dei miei colleghi universitari in materia di interpretazione del pensiero altrui. Mi sono convinto essere pericoloso e per lo più infecondo il discutere con chi ha opinioni diverse su qualche problema di scienza o di politica economica, citando testualmente le parole od i pensieri dell’avversario. Anche se di avversari non si tratta, ma di uomini interessati ai medesimi problemi, è rarissimo che la citazione calzi, che le parole siano state interpretate esattamente, che non si siano omessi punti implicitamente da altri affermati. Cosicché conclusi essere sempre preferibile non assumere da alcun testo preciso altrui l’opinione che si vuole confutare o ampliare o correggere, ma fingerla in modo indipendente e, quella formulata nel modo più esatto possibile, quella abbracciare o perfezionare o combattere. Cosicché i termini della disputa siano chiari e non controversi.
Le opinioni dichiarate nelle pagine del volume non sono oggetto di controversia fra studiosi, e non devono essere considerate materia di contrasti con nessuno. Trascorsa l’occasione del metterle in carta, qualsiasi valore che esse potessero avere è definito nel suo testo. Se avessi voluto dare ad esse un seguito, avrei dovuto consumare anni di lavoro, consultare documenti senza numero, cercare testimonianze verbali, sottoporre ogni scrittura ed ogni commento all’esame di chiunque avesse ragione di dir qualcosa in merito. Fatica immane e senza frutto. La memoria degli uomini è fallace; gli avvenimenti si seguono; e fanno sì che mutino atti e decisioni. La pubblicazione odierna ha il solo intento di registrare le riflessioni che ad una certa data mi veniva fatto di comunicare a uomini, che sempre le hanno accolte con lo stesso spirito di collaborazione e di amicizia, con il quale le avevo per essi stese. Ed ancora oggi mi è grato il ricordo delle conversazioni che, anche a cagion dei problemi qui discussi, ho avuto con essi. Tra quelli, la cui opera è dolorosamente venuta meno, è sovratutto grato a me il ricordo degli scambi di idee avuti, durante l’ufficio da me coperto, con Alcide De Gaspari, con Carlo Sforza e con Ezio Vanoni, tutti tre, in campi diversi, benemeriti della patria italiana.
Luigi Einaudi
Roma, 24 marzo 1956.