Per la ricostruzione dei bilanci delle società anonime
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/01/2022
Per la ricostruzione dei bilanci delle società anonime
«La Riforma Sociale», gennaio-febbraio 1927, pp. 1-19
Saggi, La Riforma Sociale, Torino, parte I, 1933, pp. 1-21
1. – Il consiglio di amministrazione di una società anonima industriale è adunato per esaminare il bilancio di chiusura dell’esercizio finanziario 192… – 192… Come gli è presentato dal consigliere delegato, il bilancio, a grandi capitoli, si riassume così:
Attivo | Milioni | Passivo | Milioni |
Immobili, impianti e macchinario | 130 | Capitale, rappresentato da 1.400.000 azioni da L. 100 | 140 |
Monte merci | 50 | Riserva | 10 |
Debitori diversi | 10 | Creditori diversi | 30 |
Cassa | 10 | Utili diversi | 20 |
|
| ||
Totale | 200 | Totale | 200 |
Il consigliere delegato, tuttavia, e tutti i membri del consiglio sono convinti che il bilancio non risponde sostanzialmente a realtà. Non già che essi consapevolmente abbiano mai avuto l’intenzione di scrivere cose false. Tradizioni ed eventi sono stati più forti delle loro buone intenzioni ed hanno reso a poco a poco misterioso il significato se non di tutti, certo dei più grossi capitoli del bilancio. Non v’è nulla da ridire sui 50 milioni del monte merci, se non forse che la valutazione è stata condotta con criteri alquanto prudenziali. Ma chi, in tempi di prezzi oscillanti, non farebbe altrettanto? La valutazione si tiene però stretta, con doverosa cautela, ai prezzi correnti al momento della redazione del bilancio ed il significato ne è chiaro. Del pari, nulla da obbiettare ai 10 milioni scritti al capitolo dei «debitori diversi», per il quale si tenne, come è ragionevole, ponderato calcolo dei rischi di insolvenza. Non fa d’uopo dire che i 10 milioni in cassa sono esatti al centesimo. Al «passivo», la cifra dei «creditori diversi» comprende precisamente tutto ciò e nulla di più di ciò che la società deve a terzi; e quella dei 20 milioni di utili di esercizio ha il conforto della consonanza con il conto profitti e perdite ed è, del resto, ottenuta per differenza. Esatte le altre cifre deve essere esatta anche quella. Tutte le appostazioni fin qui ricordate sono reali perché sono il frutto di stime prudenziali in lire, soldi e denari del momento in cui è redatto il bilancio. Ognuna delle persone sedute attorno al tavolo del consiglio comprende benissimo il linguaggio concreto parlato da quelle cifre.
Invece, delle cifre scritte in corsivo: 130 milioni di immobili, 140 milioni di capitale e 10 milioni di riserva, è bravo chi intuisce il significato. Il consigliere delegato spiega, che a parer suo, quelle cifre non vogliono dire assolutamente nulla, perché sono la somma, ad es., 130 milioni di «immobili, impianti e macchinario», di investimenti fatti in diverse epoche con lire di prima della guerra, con lire del 1920 , e con lire del 1925, ossia con unità monetarie, chiamate sempre «lire», le quali però non avevano tra di loro alcuna parentela. Le lire dell’anteguerra compravano, secondo certi suoi scandagli, quasi nove volte merci o servigi di quanti comprassero le lire del 1920 e quasi otto volte quelli comperati dalle lire del 1925. Sommare insieme lire di così diversa potenza d’acquisto fu, sia detto con sopportazione, un errore simile a quello dei ragazzetti che si dimenticano del precetto del maestro di non sommare insieme buoi, asini, cavalli e cani, chilogrammi di seta e quintali di carbone, ecc., ecc. Il totale è bensì una cifra: 130; ma necessariamente non da nessuna idea del vero valore presente, né di mercato corrente, né di realizzo, né di prudenziale stima per impresa lavorante, degli immobili, ecc., che essa pretende valutare. Senza significato sono pure le cifre del capitale e della riserva, costituite con versamenti fatti in epoche diverse e con lire di differente valore. Perciò, egli ha bensì calcolato, per differenza, di aver guadagnato 20 milioni di lire nell’esercizio; ma non può in coscienza affermare ai colleghi se la società abbia guadagnato o perso denari nell’anno. A lui non pare sia lecito andare – sulla sola base di quel bilancio – dinnanzi all’assemblea degli azionisti per invitarla a deliberare sulla destinazione dei 20 milioni di utili pretesi conseguiti. Gli utili veri potrebbero essere maggiori assai e si incorrerebbe in tal caso nel peccato o reato di sottrazione di utili agli azionisti; o potrebbero essere assai minori o forsanco convertirsi in perdita e si proporrebbe allora agli azionisti la distribuzione di utili immaginari.
2. – Il discorso del consigliere delegato, sebbene chiuso con la spiacevole prospettiva di una messa in giudizio per occultamento di utili o distribuzione di utili immaginari non aveva fatto ai colleghi del consiglio una impressione grave; troppo essendo questi abituati alle premesse pessimiste e dubbiose ed alle conclusioni caute e sicure del loro capo. Né mal s’apponevano ché la somma del discorso fu essersi il consigliere delegato grandemente preoccupato di porre sotto gli occhi, o meglio di comunicare riservatamente al consiglio le sue impressioni sulla esatta valutazione da darsi alla grossa cifra dubbia di 130 milioni di lire immobili, impianti e macchinario. A parer suo, prudenzialmente valutate, quelle attività al momento della chiusura del bilancio potevano calcolarsi in 255 milioni di lire. V’era li una riserva nascosta di 125 milioni, la quale doveva fare ai consiglieri ed a lui dormire sonni tranquilli sulla sussistenza dei 140 milioni di capitale e dei 10 milioni di riserva scritti in bilancio e sul loro legittimo diritto a proporre all’assemblea di deliberare sui 20 milioni di utili.
3. – Se la conclusione relativa alla veracità e reale esistenza degli utili aveva fatto tirare il fiato lungo agli amministratori, e tutti si sentivano tranquilli rispetto all’argomento più importante dell’ordine del giorno – determinazione dell’utile e proposta del dividendo e della quota di partecipazione spettante ai membri del consiglio – taluno vi fu che, più dottrinario o più scrupoloso, volle esporre qualche dubbio intorno alla convenienza o legalità o correttezza di scrivere sui bilanci cifre tanto disformi dal vero.
Se gli immobili, ecc., valevano in realtà 225 milioni invece di 130 e se perciò alla riserva statutaria di 10 milioni si aggiungeva una riserva latente di 125 milioni, era giusto e legale tacere tali fatti agli azionisti? Non si faceva correre a taluno di essi, bisognoso di denaro e perciò di vendere le proprie azioni, il rischio di immaginare di essere in possesso di azioni ognuna delle quali valesse solo 1.400.000ma parte di 140 + 10 milioni di lire, laddove la effettiva consistenza era di 1.400.00ma parte di 140 + 10 + 125 milioni di lire? Se, ingannato dalle cifre di bilancio l’azionista vendeva per 107 lire ciò che valeva in effetto 196 lire, la colpa non si sarebbe potuta far risalire alle reticenze del consiglio, e l’azionista danneggiato non avrebbe potuto supporre che la reticenza fosse dovuta alla ingordigia dei consiglieri, ansiosi di nascondere il vero per comprare sottomano, essi stessi, al prezzo di 107 l’azione che essi ben sapevano valere 196 lire?
4. – Anche qui, tuttavia, il consigliere delegato con breve ragionamento dissipò i dubbi del collega scrupoloso. Quale, invero, era l’origine dei 125 milioni di maggiore riserva effettiva in confronto della nominale? Due, a parer suo, ne erano le cause fondamentali. In primo luogo, 45 milioni di svalutazioni eccezionali via via prudenzialmente calcolate sugli immobili, impianti e macchinario. Se tali svalutazioni fossero oggi riprese ed aggiunte, come valori esistenti e non mai consunti dal tempo, ai 130 milioni di attivo, non si darebbe forse occasione alla finanza di elevare accertamento su di essi, come su utili prodotti in passato ed occultati fraudolentemente in spregio dei diritti dell’erario? Bene avrebbero essi opposto non potersi parlare di frode, perché nessuna regola sicura esiste rispetto agli ammortamenti e deve essere data lode di prudenza e non taccia di frode a chi, nell’interesse sociale, accantona riserve invisibili contro il rischio di crisi future. Giustamente avrebbero potuto soggiungere essere l’azione della finanza perenta per il trascorrere dei termini di accertamento degli utili accantonati in anni remoti. Essere risaputo però che la finanza o, per essa, le commissioni di prima istanza delle imposte dirette, vantano ragione di accertamenti risalenti indietro nel tempo[1]: e non essere perciò conveniente, per un eccessivo scrupolo di veridicità verso gli azionisti, esporsi al rischio di vedere privati gli azionisti stessi di qualche milione del loro attuale patrimonio. In secondo luogo, l’aumento delle riserve poteva essere attribuito per i restanti 80 milioni al maggiore valore acquistato, a causa dell’aumento generale dei prezzi ossia della svalutazione monetaria, dagli investimenti dianzi fatti in moneta forte. Questi 80 milioni si sarebbero bensì potuti mettere in evidenza all’attivo ed al passivo, purché al passivo fossero stati collocati semplicemente a riserva e non portati ad incremento del valore nominale delle azioni o non rappresentati da nuove azioni gratuite. Se si fosse cresciuta solo la cifra della riserva, la finanza non avrebbe avuto ragione di intervenire, essendo giurisprudenza accettata che queste siano semplici scritturazioni interne di ragguaglio di valori presenti a valori passati. Ma l’aumento del valore nominale delle azioni esistenti o la distribuzione di azioni nuove gratuite sarebbe stato equiparato ad effettivo realizzo di utili da parte della società e si sarebbe preteso dalla finanza il pagamento dell’imposta mobiliare sul relativo importo[2]. A che pro correre rischi, per raddrizzare una gamba al cane, quando il cane sarebbe rimasto forzatamente ancora zoppicante dall’altra gamba, per la impossibilità di mettere in evidenza gli altri 45 milioni di maggiori valori per svalutazioni ultra prudenziali operate in passato? Alle quali perentorie ragioni nessuno avendo saputo obbiettare alcunché, la seduta fu tolta.
5. – Così accade che i bilanci delle 12 mila circa società anonime esistenti in Italia risultino incomprensibili e privi di qualunque significazione, ben oltre il segno richiesto o consentito dalla media umana prudenza o dissimulazione. Mai si potranno impedire, in nessun paese, le riserve nascoste; ed ha gran forza l’argomentazione di coloro i quali affermano che le riserve nascoste sono moralissime e necessarie nell’interesse degli azionisti della società, della nazione e della finanza medesima. Che cosa accadrebbe se i bilanci dichiarassero, fino al centesimo, gli utili conseguiti in un dato momento e secondo l’esperienza di quel dato momento? Che la società sicuramente fallirebbe, perché gli azionisti ben di rado consentirebbero ad accantonare gli utili dichiarati e la società, priva di forti riserve, sarebbe incapace di resistere alla prima bufera di crisi economica; e perché le valutazioni fatte secondo l’esperienza di un dato momento quasi mai resistono all’esperienza di un momento successivo, sicché spesso quelli che nell’anno in corso paiono utili effettivi si palesano immaginari nell’anno successivo.
Tuttavia, oggi, si tratta di ben altro che dell’antica questione delle riserve nascoste; si tratta di ridare significato a cifre di bilancio le quali hanno da tempo, perso qualsiasi significato; di abbandonare il mal vezzo di addizionare, come diceva il nostro immaginario consigliere delegato, cavalli ed asini, muli e buoi, pecore e lupi, cani e gatti. Altri paesi, i quali si sono trovati dinnanzi al medesimo problema, l’hanno affrontato in pieno; e leggi recenti della Germania, dell’Austria, della Polonia, di Danzica hanno imposto obbligatoriamente la rivalutazione, secondo un comune misuratore, di tutte le attività e le passività sociali, allo scopo di ridare sincerità ai bilanci, tranquillità di coscienza agli amministratori, punti di orientamento agli azionisti ed al risparmio, indirizzo alle borse. La mala contentezza in cui da due anni circa si travagliano le borse italiane, ha, fra altre cause, anche questa: che agenti di cambio, banchieri, ed altri uomini peritissimi, se richiesti dai risparmiatori di un giudizio intorno ad una azione del valore nominale di 100, non sanno da che parte voltarsi per dare una risposta. Un tempo si usava studiare i bilanci e controllarli con informazioni confidenziali. Oggi i bilanci non dicono nulla e gli stessi conoscitori interni dell’impresa non posseggono un criterio esatto per ricostruirli.
6. – Il quesito è arduo e si riconnette con quello della soluzione la quale sarà data al nostro problema monetario. Quale sarà la soluzione, nessuno può oggi dire. La sola dichiarazione ufficiale è che la moneta corrente in Italia continuerà ad essere la lira e che questa sarà difesa ad ogni costo, senza che alcun limite sia posto alla sua rivalutazione.
Non occorre altra premessa per concludere che, qualunque soluzione, in qualsiasi momento, sia data al problema monetario, in quel momento il legislatore dovrà altresì dare una soluzione al problema dei bilanci delle nostre società anonime. I due problemi sono inscindibili l’uno dall’altro. Risolvere il problema monetario vuol dire rimettere tutte le valutazioni di merci, servigi, capitali sul piede di un metro stabile; impedire che oggi si misuri con un metro da 100 centimetri e domani di e 50 e poi di 10 e poi di nuovo di 25 e così via. Se questo è l’essenza della soluzione che si darà al problema monetario – ritorno alla stabilità nella misura dei valori – ; è certo che la stessa soluzione deve valere per le valutazioni dei bilanci delle società anonime, i cui patrimoni sono tanta parte della fortuna nazionale. Che la soluzione sia necessaria, può essere chiarito dalla ricostruzione immaginaria che farò del bilancio presentato all’inizio del presente articolo in alcune delle principali fasi a tappe del processo di rivalutazione monetaria. Nessun limite intendendosi porre alla rivalutazione monetaria, fa d’uopo supporre che questa possa spingersi sino al punto massimo che è di far tornare la lira alla potenza di acquisto pre-bellico. Come è noto, questa meta ultima è qualcosa di più del ritorno della lira alla pari dei cambi. Il ritorno alla pari dei cambi vuoi dire che il dollaro degli stati Uniti torni a valere solo lire 5,1825 invece delle 23 del momento in cui scrivo e la lira sterlina 25,2214 lire invece delle 110 oggi correnti. Il ritorno alla pari non significherebbe ancora ristabilimento della lira sull’antico saggio pre-bellico; perché, alla loro volta, dollaro e sterlina sono deprezzati di un buon terzo in confronto all’ante guerra. Quella merce che acquistavasi con 1 dollaro nel 1913, oggi costa 1,50. Vi sarà ritorno all’ante guerra quando, essendo oramai la lira ritornata alla pari dei cambi col dollaro e colla lira sterlina, tutte tre insieme le monete, dollaro, lira sterlina e lira italiana cresceranno la loro potenza d’acquisto fino a ritornare all’antica potenza d’acquisto, attraverso un processo di rivalutazione, il quale, schematicamente potrebbe raffigurarsi così (trascurando, per semplicità, i centesimi dei 5,1825 per il dollaro e dei 25,2214 per la sterlina e facendo, brevemente, il dollaro uguale a 5 lire e la sterlina a 25 lire, alla parità dei cambi).
Tappe successive della rivalutazione | Corso dei cambi della lira italiana rispetto
| Indice della rivalutazione della lira ove la mèta sia la tappa
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I | 30 | 150 | 0,166 | 0,111 | ||||
II | 25 | 125125 | 0,20 | 0,133 | ||||
III | 20 | 100 | 0,25 | 0,166 | ||||
IV | 10 | 50 | 0,50 | 0,33 | ||||
V | 5 | 25 | 1 – | 0,66 | ||||
VI | 5 | 25 | – | 1 – |
Lo schema è stato raffigurato così da adattarsi a tutte le possibili soluzioni a cui potranno mirare le autorità responsabili. Ove si intenda giungere solo sino alla tappa quinta, ossia alla parità di cambio colle monete forti, gli indici di rivalutazione saranno 0,166, 0,20, 0,25, 0,50, ed 1. Il che vuol dire che, avendo noi di fatto già oltrepassato la tappa prima (quando il cambio colla sterlina superava le 150 lire) e quella seconda (quando il cambio era sulle 125 lire) siamo a mezzo della strada che ci conduce alla tappa terza (sterlina a 100 lire), giunti alla quale la lira sarà uguale al quarto del suo pari colla sterlina e l’indice di tappa giustamente potrà essere detto 0,25. Se e quando il cambio colla sterlina giungerà a 50 lire l’indice di tappa sarà 0,50; e toccherà l’1 (unità ossia perfezione) se e quando il cambio sarà alla pari (25 lire per ogni sterlina, 5 per ogni dollaro). Può darsi tuttavia che, mentre la lira percorre la sua strada verso la pari dei cambi col dollaro e la sterlina, dollaro e sterlina si muovano anch’essi al riconquisto dell’antica potenza d’acquisto posseduta nel 1913 e perduta dappoi.
Anche qui, come già sulle tappe della rivalutazione della lira, mi astengo dal fare previsioni, le quali sarebbero antiscientifiche. Espongo ipotesi, di cui il tempo dimostrerà la fondatezza. Può darsi che, ridivenendo l’oro scarso, dollaro e sterlina riapprezzino, ribassino i prezzi e si ritorni al livello del 1913. Uomini periti in cose minerarie affermano siffatta ipotesi avere un alto grado di probabilità di verificazione. Altri, ugualmente periti, negano. Altri ancora vogliono che le banche d’emissione del mondo si concertino per evitare gli alti e bassi della capacità di acquisto della moneta. Comunque sia di ciò, basti assumere la ipotesi come possibile. Per semplicità di calcolo, aggiungerò solo l’altra ipotesi che al riconquisto della antica parità d’acquisto si proceda dopo che la lira avrà riacquistata la sua parità monetaria col dollaro e la sterlina. Nella tabella, per l’appunto, alla tappa sesta si vede il cambio della lira col dollaro e colla sterlina rimanere fisso a 5 e 25 lire rispettivamente, ma nell’ultima colonna l’indice di rivalutazione procede ancora da 0,66 a 1. Il che vuol dire che la lira sarà bensì, alla tappa quinta già arrivata all’1, ossia al pieno della sua parità monetaria, ma poiché le monete, dollaro e sterlina, con cui la lira sarà alla pari sono e saranno ancora deprezzate di un terzo in confronto all’antica (1913) potenza d’acquisto in merci e servigi, anche la lira sarà arrivata solo all’indice 0,66 rispetto alla parità in cose o merci. Invece alla tappa sesta, tutte tre le monete, oramai parificate monetariamente, scaleranno l’ultima meta che è appunto il riconquisto dell’antica (1913) potenza d’acquisto. Si potrebbe immaginare una settima ed una ottava tappa; la settima potendo essere il ritorno alla potenza d’acquisto del 1895, in cui tutte le monete compravano notabile maggior copia di merci che nel 1913 od a quella del 1920 in cui l’abbondanza era ancor più grande. Ma poiché a siffatte ipotesi nessuno pensa, non le porrò neppure io, limitandomi a porre quelle le quali formano oggetto di desiderio, aspirazione, discorso concreto tra gli uomini oggi viventi. E poiché questi od almeno coloro tra essi, i quali si ricordano della vita vissuta prima della guerra, risalgono per lo più col ricordo ai prezzi correnti prima del 1913 ed auspicano il ritorno ai costi della vita d’allora, cosi io supporrò senz’altro, per via di ipotesi ideale, che le tappe della rivalutazione siano sei e che, ai cambi indicati, gli indici di rivalutazione siano quelli indicati nell’ultima colonna: 0,111, 0,133, 0,166, 0,33, 0,66 ed 1.
L’ipotesi fatta non implica, in chi scrive, alcun giudizio sulla possibilità o probabilità di percorrere, dopo le prime due, già oltrepassate, tutte o solo alcune o nessuna tra le quattro tappe rimanenti. Non è compito del presente articolo lo studio di tali possibilità o probabilità; ma esclusivamente il cercare se, dato il verificarsi delle successive ipotesi di tappa, ne derivino conseguenze importanti per i bilanci delle società anonime.
Per due motivi si vuol fare astrazione dallo studio delle possibilità o probabilità del verificarsi delle successive tappe di rivalutazione: in primo luogo perché nessuno conosce quali siano i propositi ultimi dei fattori competenti in materia; ed in secondo luogo perché, ove anche si supponga in essi l’intenzione e la possibilità di fissarsi, a cagion d’esempio, sulla tappa terza (lira sterlina – 100 lire italiane), sono indipendenti dai fattori competenti nazionali la possibilità e la probabilità che, contemporaneamente od in seguito, la lira si rivaluti (o si svaluti) ulteriormente per cause mondiali relative alla potenza d’acquisto della moneta in genere: scoperta di nuove miniere d’oro, esaurimento di quelle esistenti, politica monetaria delle banche di riserva americane, ecc., ecc. Sicché, astrazione fatta dalla legge nazionale, la moneta proceda, per ragioni internazionali, dalla tappa terza verso tappe superiori (o regredisca verso tappe inferiori) sulla via non della parità monetaria, ma della parità di potenza d’acquisto.
7. – Fondandomi dunque sulle dette premesse[3] ho ricostrutto il bilancio della nostra società ipotetica e presento i risultati della ricostruzione nella tabella a pagine 14 – 15. La tabella risponde alla seguente domanda: quali valori si dovrebbero sostituire a quelli del bilancio legale, lungo le successive tappe della rivalutazione, se nessun’altra variazione fosse intervenuta all’infuori della rivalutazione medesima e se la rivalutazione influisse sui valori medesimi precisamente a seconda degli indici sopra calcolati?
È ovvio:
- che i fattori di variazione saranno in concreto ben più numerosi di quell’unico supposto; e, pro-tanto, le conclusioni della tabella dovranno essere modificate;
- che la rivalutazione agirà sui valori di bilancio in misura diversa da quella indicata dagli indici assunti. Questi sono fondati sul migliorare dei cambi in rapporto del dollaro fino alla quinta e sul migliorare della lira, del dollaro e della sterlina in ragione di potenza di acquisto, per la tappa sesta, ma i valori degli immobili, delle macchine, delle merci, dei crediti non seguono esattamente le oscillazioni dei cambi, muovendosi, ognuno di essi, per cause proprie.
8. – Tuttavia, siccome il far previsioni sui prezzi singoli sarebbe stata cosa troppo balzana, la ipotesi fatta risponde alla regola del minimo di arbitrio. La ipotesi trova la sua applicazione nel «bilancio ricostrutto A»; per ottenere il quale si suppose che tutti i valori di bilancio, nessuno escluso, si muovessero in ragione inversa alla rivalutazione della moneta ed esclusivamente in quella ragione.
Veggasi come i risultati siano profondamente diversi dalle cervellottiche conclusioni dell’ipotetico consigliere delegato (colonna «Bilancio riservato al consiglio di amministrazione»). Questi supponeva di poter chiudere il bilancio con 20 milioni di lire di utili di esercizio e di poter contare su una riserva nascosta di 125 milioni di lire, ricavata per 45 milioni di lire dalla ripresa in bilancio di svalutazioni straordinarie non rispondenti ad effettiva opera degli impianti e per 80 mila da rivalutazione delle consistenze patrimoniali. Qualcosa di vero c’era nei calcoli del consigliere delegato; ma trattavasi di approssimazioni confuse ad una realtà ognora cangiante. La verità è che, a mano a mano si procede innanzi nell’opera di rivalutazione della lira, diventa sempre più difficile trovare nell’attivo valori sufficienti a conservare agli azionisti il possesso continuato dei capitali versati. Essi hanno versato in epoche diverse 140 milioni di lire ed hanno accantonato a riserva statutaria utili, su cui hanno pagato le dovute imposte, per altri 10 milioni. Finché essi non abbiano all’attivo almeno tanto che copra, tenuto conto delle altre partite, quei 140 + 10 milioni, essi non possono ritenere di avere in serbo qualche riserva nascosta. Ora per avere, ad es., alla tappa seconda (già oltrepassata di fatto) un capitale e riserva corrispondente ai 140 + 10 milioni versati in epoche diverse e in lire di valore diverso essi dovrebbero avere 259.350.000 lire omogenee al corso di L. 25 per dollaro, quanto a capitale, e lire 22.290.000 quanto a riserva statutaria. La tabella dimostra che quella somma non esiste, mancando al pareggio lire 3.340.000. Quindi gli utili di esercizio scritti in 20 milioni di lire, dovrebbero essere decurtati di 3.340.000 lire ove non si voglia consumare una quota della vecchia riserva statutaria. È vero che all’attivo, e sempre alla stessa tappa seconda, i valori degli immobili figurano in più di 185 milioni invece dei 130 scritti in bilancio ed è vero che figurano ripresi 72,6 milioni di svalutazioni antiche; ma, con tutto ciò, non si riesce a pareggiare il bilancio ed a conservare agli azionisti un capitale di valore uguale al versato ed una riserva statutaria uguale al rinunciato se non col prelevare 3.340.000 lire dagli utili di esercizio.
Col progredire della rivalutazione tutte le cifre si riducono; finché giunti alla rivalutazione piena, gli azionisti invece di un capitale di 140 milioni lo hanno appena di 34.580.000 lire. Il che non monta perché quel minor capitale ha la identica potenza di acquisto dell’attuale capitale nominale. Monta di più notare che, neppure allora, essi possono fare assegnamento sui 2.667.000 lire di utili di esercizio, corrispondenti, in potenza d’acquisto, ai 20 milioni attuali. Anche allora, se essi vogliono semplicemente conservare quel che già possedevano, debbono prelevare dagli utili di esercizio ben 446.000 lire di perdite di ricostruzione.
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Bilancio Presentato all’assemblea degli azionisti | Bilancio riservato al consiglio di amministrazione | Bilancio ricostrutto A fatta l’ipotesi che tutte le partite dell’attivo e del passivo variino nelle successive tappe della rivalutazione | |||||||||||||
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Indice di rivalutazione della Lira: | |||||||||||||||
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Attivo | |||||||||||||||
Immobili,impianti e macchinario | 130.000 | 130.000 |
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Ripresa delle svalutazioni straordinarie | – | 45.000 |
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Rivalutazione delle consistenze patrimoniali precedenti | – | 80.000 |
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Monte merci | 50.000 | 50.000 |
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Debitori diversi | 10.000 | 10.000 |
| ||||||||||||
Cassa | 10.000 | 10.000 |
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Perdita di ricostruzione del bilancio a pareggio |
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Totale Passivo | 200.000 | 325.000 |
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Attivo
Immobili, impianti e macchinario……………….
Ripresa delle svalutazioni straordinarie………………
Rivalutazione delle consistenze patrimoniali precedenti…………………
Monte merci……………….
Debitori diversi…………..
Cassa………………………
Perdita di ricostruzione del bilancio a pareggio | Bilancio presentato all’assemblea degli azionisti
130.000 – – 50.000 10.000 10.000 | Bilancio riservato al consiglio di amministrazione
130.000 45.000 80.000 50.000 10.000 10.000 | Bilancio ricostrutto A fatta l’ipotesi che tutte le partite dell’attivo e del passivo variino nelle successive tappe della rivalutazione
Indice di rivalutazione della lira:
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Totale Attivo | 200.000 | 325.000 |
|
Passivo
| ||||||||||||||||||||||||||||
Capitale sociale diviso in 1.400.000 azioni da L. 100
Riserva statutaria……………
Creditori diversi………………
Utili di esercizio………………
Utili di ricostruzione del bilancio a pareggio…………. | 140.000 10.000 30.000 20.000
| 140.000 10.000 30.000 20.000
125.000 |
| |||||||||||||||||||||||||
Totale Passivo | 200.000 | 325.000 |
|
Attivo
Immobili, impianti e macchinario……………….
Ripresa delle svalutazioni straordinarie………………
Rivalutazione delle consistenze patrimoniali precedenti…………………
Monte merci……………….
Debitori diversi…………..
Cassa………………………
Perdita di ricostruzione del bilancio a pareggio | Bilancio presentato all’assemblea degli azionisti
130.000 – – 50.000 10.000 10.000 | Bilancio riservato al consiglio di amministrazione
130.000 45.000 80.000 50.000 10.000 10.000 | Bilancio ricostrutto B fatta l’ipotesi che, nelle successive tappe della rivalutazione della lira, variino tutte le partite dell’attivo e del passivo, ad eccezione dei «creditori diversi» al passivo
Indice di rivalutazione della lira:
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Totale Attivo | 200.000 | 325.000 |
|
Passivo
| |||||||||||||||||||||
Capitale sociale diviso in 1.400.000 azioni da L. 100
Riserva statutaria……………
Creditori diversi………………
Utili di esercizio………………
Utili di ricostruzione del bilancio a pareggio…………. | 140.000 10.000 30.000 20.000
| 140.000 10.000 30.000 20.000
|
| ||||||||||||||||||
Totale Passivo | 200.000 | 325.000 |
|
Attivo
Immobili, impianti e macchinario……………….
Ripresa delle svalutazioni straordinarie………………
Rivalutazione delle consistenze patrimoniali precedenti…………………
Monte merci……………….
Debitori diversi…………..
Cassa………………………
Perdita di ricostruzione del bilancio a pareggio | Bilancio presentato all’assemblea degli azionisti
130.000 – – 50.000 10.000 10.000 | Bilancio riservato al consiglio di amministrazione
130.000 45.000 80.000 50.000 10.000 10.000 | Bilancio ricostrutto C fatta l’ipotesi che, nelle successive tappe della rivalutazione della lira, variando le altre partite dell’attivo e del passivo, restino ferme quelle del monte merci, debitori diversi e cassa all’attivo e dei creditori diversi al passivo
Indice di rivalutazione della lira:
| ||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Totale Attivo | 200.000 | 325.000 |
|
Passivo
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Capitale sociale diviso in 1.400.000 azioni da L. 100
Riserva statutaria……………
Creditori diversi………………
Utili di esercizio………………
Utili di ricostruzione del bilancio a pareggio…………. | 140.000 10.000 30.000 20.000
| 140.000 10.000 30.000 20.000
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Totale Passivo | 200.000 | 325.000 |
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9. – Ho voluto, nel bilancio ricostrutto «B», esaminare le conseguenze estreme di una sotto-ipotesi che trova qualche addentellato con la realtà: di una società, la quale abbia tutte le sue partite di attivo soggette alle influenze monetarie, e quindi contraibili a mano a mano che la rivalutazione si fa più piena, laddove abbia debiti contratti in cifra fissa, non rimborsabili prima di una scadenza posta al di là dell’epoca della piena rivalutazione. È il caso di società con forti debiti obbligazionari in lire.
In un sol momento, quella società poteva godere di un utile di ricostruzione od utile monetario: alla prima tappa (dollaro uguale a L. 30; indice di rivalutazione 0,11). È chiaro che quando la lira era assai svalutata, i debiti in lire facevano dei bene ai debitori. Oramai, che quel momento è oltrepassato, la società che deve pagare ad ogni costo, 30 milioni di lire, vede il suo avvenire farsi scuro. La perdita di rivalutazione cresce di tappa in tappa: fino alla seconda e poi alla terza tappa può colmarla sacrificando rispettivamente 3.340.000 e 8.672.000 lire sui 20 e 16 milioni di utile di esercizio. Nelle tappe successive non basterebbe neppure più il sacrificio degli utili intieri dell’anno a colmare la perdita. All’ultima tappa i 40 milioni circa di capitale, riserva ed utili di esercizio sono assorbiti per due terzi dalla perdita di ricostruzione di 26 e mezzo milioni di lire.
Corollario primo: quando in un paese si svolge un processo di rivalutazione della moneta, gli amministratori delle società per azioni debbono andare oltremodo guardinghi nella distribuzione degli utili di esercizio. Essi debbono accantonarne una parte, la maggior parte possibile, per provvedere alle necessità di ricostruzione dei bilanci quando sia giunta la fine del processo di rivalutazione ed i bilanci possano di nuovo fondarsi su basi stabili continuative. Siffatto dovere è tanto maggiormente imperioso quanto più pesano sul bilancio debiti in lire e quanto più questi sono a lunga scadenza. I debiti a breve scadenza sono meno preoccupanti, perché i creditori penseranno, essi, a ridurre il fido nominale ai debitori ed a costringere questi ad accantonare grosse quote di cosidetti utili a titolo di rimborso debiti.
10. – Può darsi che il processo di rivalutazione procacci utili ai bilanci delle società. Ho cercato di esporre gli effetti di tale possibilità nel «bilancio ricostrutto C». Esso è fondato sull’ipotesi che, pur rimanendo fermi i debiti nella somma nominale di 30 milioni di lire, rimangono parimenti fisse alcune partite, di dimensione in totale maggiore, dell’attivo: monte merci, debitori diversi, cassa. Non è un’ipotesi di facile, ma neppure di impossibile verificazione. Bisogna, per ciò, che gli amministratori, comprando le materie prime, si assicurino contemporaneamente la rivendita dei prodotti finiti ad un prezzo tale, in lire, da coprire tutte le spese di materie prime, combustibili, lavorazione, spese generali. Bisogna che essi concedano fidi solo a brevissima scadenza per essere sicuri che le circostanze dei loro debitori non mutino in peggio nel frattempo. In tempi di moneta progrediente, questa è forse la prova del fuoco per gli industriali. Moneta progrediente vuol dire moneta che, da un dato momento a quello successivo, compra una crescente massa di merci. Il che è altresì sinonimo di prezzi calanti. Il sommo dell’arte, in questi periodi, sta per gli industriali nell’evitare il pericolo di comprare materie prime a 10 alla tappa seconda e venderle, finite, ad 8 alla tappa terza. Ad evitar ciò, bisogna cercare di coprirsi subito con la rivendita a termine dei prodotti finiti contemporanea alla compera a contanti delle materie prime. In quanto non ci si riesca, evitare, di nuovo, di considerare come acquisiti gli utili apparenti di esercizio. Se e quanti utili esistano si potrà dire solo a processo di rivalutazione chiuso.
Corollario secondo: Conviene perciò, lungo il processo di rivalutazione monetaria, promuovere lo sviluppo di tutti quei meccanismi economici e finanziari che giovano ad assicurare l’industria contro i rischi del decorrere del tempo. Un libero attivo mercato a termine sulle divise estere e sulle merci giova ad assicurare all’industriale la percezione futura di prezzi corrispondenti a quelli spesi al presente. La diminuzione dei fidi, il pagamento a contanti contribuirebbero a ridurre il rischio dell’industria; ma poiché tali pratiche sono di poco rapida diffusione, gioverebbero in vece loro istituti per la assicurazione dei crediti. I non tenui premi da pagarsi per le assicurazioni dei crediti falcidierebbero gli utili apparenti di esercizio, i quali, nelle epoche di moneta migliorante, debbono appunto grandemente ridursi a vantaggio della stabilità dei bilanci.
Corollario terzo: Finché dura il processo di rivalutazione, le deliberazioni di emissione di azioni gratuite o di rialzo del valore nominale delle azioni, prese in buona fede allo scopo di mettere in evidenza passati ammortamenti straordinari o pretesi maggiori valori delle consistenze patrimoniali,sono frutti di fantasia accesa e non devono essere presi sul serio dalla finanza per costruirvi sopra castelli illusori di tassazioni. Le ricostruzioni dei bilanci fatte sopra dimostrano che, in tempi di rivalutazione, bisogna lavorare a scansare perdite e che fa d’uopo usare prudentissime cautele nella ripartizione dei cosidetti utili di esercizio. Dimostrano sovrattutto che la nozione di «utile» già complicata normalmente, è divenuta così evanescente da consigliare la massima prudenza nel fare qualunque passo fuor della sfera degli utili di esercizio propriamente detti. Dimostrano, ancora, che le deduzioni per rischi di ribassi futuri nei prezzi delle merci in magazzino ed in lavorazione e di insolvenza nei debitori debbono essere tenuti in specialissima considerazione dagli amministratori e ammessi in misura insolita dai funzionari delle imposte, se non si vuol scambiare per utile di esercizio quella somma che invece sarebbe, se distribuita, consumo di capitale.
11. – La rivalutazione della moneta sembra rendere necessaria una nuova terminologia provvisoria di taluni istituti del nostro diritto commerciale. È prescritto, a cagion d’esempio, che le società per azioni debbano mettersi in liquidazione, quando si sia verificata una perdita dei due terzi del capitale sociale, salvo si deliberi la reintegrazione di esso o la sua riduzione alla quantità tuttora esistente. Nel caso ipotetico descritto sopra, la diminuzione del capitale sociale a meno dei due terzi si verifica nella tappa sesta per il bilancio ricostrutto A e nella tappa quinta (tenuto conto della perdita di ricostruzione) per il bilancio ricostrutto B. Sarebbe eccessivo tuttavia parlare, per il bilancio A, di liquidazione obbligatoria o di riduzione formale del capitale in conseguenza di perdite avvenute, quando in realtà non ci fu alcuna perdita, ma unicamente si verificò una contrazione del valore numerico del capitale sociale, rimanendo intatta la potenza d’acquisto. Una norma legislativa la quale rendesse obbligatoria la «ricostruzione» dei bilanci gioverebbe a togliere qualsiasi connotato di apparente «colpa» negli amministratori alla vantaggiosa rettifica di valori che si palesa necessaria dopo chiuso il processo di rivalutazione. Fa d’uopo riconoscere che l’ostacolo maggiore alla rettifica è psicologico o morale. Gli amministratori vorranno tardare sino all’ultimo la rettifica «in meno» dei valori di bilancio per la tema di incontrare il giudizio sfavorevole degli azionisti e dei creditori. Gli azionisti ricalcitreranno all’ idea di possedere con l’azione a 25 lire lo stesso valsente a cui prima davasi nome 100 lire.
Amministratori ed azionisti saranno forzati ad arrendersi alla verità dal giudizio imparziale della borsa, la quale poco si cura dei valori nominali e va dritta ai valori reali. Quando il capitale sociale invece dei nominali 150.000.000 lire, più 10.000.000 riserve sarà ridotto a 37.552.000 lire, tra capitale e riserva, la borsa capitalizzerà il titolo, in luogo delle 207 lire circa della tappa seconda, in 28 lire della tappa sesta; senza, ripetasi, verun danno per l’azionista, il quale disporrà della medesima potenza d’acquisto con un’azione da 25 lire quando la lira sarà rivalutata ad 1 di quella che godeva con 200 quando la lira era valutata a 0,133. Sarà allora vano conservare a 100 il valore nominale, e dovranno gli amministratori decidersi a proporre la rettifica a 25; epperciò sembra opportuno anticipare questa volontariamente, innanzi di esservi costretti da una apparentemente avversa quotazione di borsa.
Il giudizio della borsa sarà vantaggioso per distinguere agli occhi dei risparmiatori la condotta delle società semplicemente prudenti, le quali si sforzeranno di ridurre i debiti in proporzione al ridursi dei valori nominali delle attività (bilancio ricostrutto da quello delle società prudentissime[4], le quali, non potendo ridurre la cifra dei debiti, saranno riuscite a serbare intatto il valore nominale dei crediti, del monte merci e della cassa (bilancio ricostrutto C), e sovrattutto da quello delle società azzardose le quali si lasciano sopraffare da una cifra costante in debiti, nonostante il valore nominale delle attività si riduca via via tra le loro mani (bilancio ricostrutto B). Avvertendo in tempo il pubblico dei risparmiatori della diversità tra i diversi tipi di bilancio, le borse si renderanno benemerite per il saggio indirizzo dato ai nuovi investimenti e provvederanno a rimettere gli amministratori poco curanti sulla retta via.
12. – È dimostrato così l’assunto del presente articolo; non potersi scompagnare l’opera di rivalutazione monetaria da una ricostruzione dei bilanci delle società italiane atta a trarli dal disordine in che essi sono universalmente caduti. Se si ricostituisce un comune denominatore monetario, che sia realmente comune misura dei valori, come si può tollerare che i bilanci offerti alla fede pubblica, presentati ad azionisti ed a creditori come documenti di dare e di avere siano compilati in cinque o sei o più differenti unità di misura?
Finché il processo di rivalutazione dura, gli amministratori delle società anonime dovrebbero sentire il dovere dì ricostruire ogni anno nei bilanci tutte le partite di attivo e di passivo ai valori in lire correnti al momento della chiusura dei bilanci stessi. Se non paia opportuna una variazione dei valori legali del capitale sociale e della riserva statutaria, iscrivano in bilancio un «fondo oscillazioni valori consistenze patrimoniali». Lo dovrebbero fare ad ammaestramento di sé stessi, per sapere se essi ottengono utili o consumano capitali, per sapere se essi posseggono il patrimonio che vantano di possedere contro il capitale versato dagli azionisti ed a garanzia dei creditori. Lo dovrebbero fare ad ammaestramento del pubblico, a guida del mercato.
Quando il processo di rivalutazione sarà chiuso, ed a chiuderlo dovrà intervenire un atto di governo, la ricostruzione dei bilanci dovrà essere resa legislativamente obbligatoria. Nelle pagine che precedono ho sempre assunto la rivalutazione come una premessa di ragionamento, senza dare verun giudizio intorno ai limiti delle sue possibilità, alla sua durata ed alle sue condizioni. Ai fini della presente discussione, basti dire che, nei limiti in cui la rivalutazione ha luogo, una corrispondente volontaria ricostruzione dei bilanci delle società anonime si impone; finché giunti a quel qualsiasi termine in cui la legge dichiarerà chiusa l’opera di rivalutazione, la legge dovrà altresì formare le norme obbligatorie della ricostruzione medesima. Impresa non facile, a cui farà d’uopo una preparazione seria, dottrinale e pratica.
La preparazione dovrà aver riguardo all’aspetto «economico» della ricostruzione, perché le norme da emanarsi conducano ad esporre in bilancio valori conformi alla realtà e non soggetti a nuove variazioni per scambio di risultati provvisori in luogo di quelli permanenti, a quello «giuridico» per evitare di confondere «ricostruzioni» vantaggiose alla società ed al paese con «liquidazioni» o «riduzioni» indice di perdite sofferte e, finalmente, all’aspetto fiscale per evitare che le necessarie mutazioni dei valori nominali del capitale sociale, delle azioni e delle riserve statutarie siano assunte a pretesto di indebite tassazioni. Già l’imposta dei sopraprofitti di guerra e l’avocazione di essi allo Stato si resero troppo colpevoli di aver avocato, non di rado, allo Stato capitale antico versato, qualificandolo come profitto di guerra, perché si possa correre il rischio di una seconda esperienza del medesimo errore.
Probabilmente, dal punto di vista «economico» gioverà astenersi da norme particolareggiate, le quali impongono un determinato metodo di ricostruzione dei bilanci. Poiché il vizio odierno delle cifre stampate nei documenti di bilancio consiste nell’uso contemporaneo di unità di misura dei valori aventi differenti potenze d’acquisto, la sola norma necessaria appare quella di riferire le valutazioni di tutti i capitoli di bilancio ad un solo momento e precisamente alla data di chiusura del bilancio dell’anno in cui la norma diventa obbligatoria. I criteri di valutazione debbono essere lasciati al prudente consiglio degli amministratori e dei sindaci. Dal punto di vista «fiscale» le variazioni di stima, comprese quelle relative al capitale, al numero e taglio delle azioni, ecc., derivanti dall’ubbidienza alla norma della ricostruzione non dovrebbero mai, per sé medesime, dar luogo a tassazione.
In altri paesi, nei quali si giunse impreparati al termine delle opere di ricostruzione monetaria, gravi errori furono commessi. Appunto perché gli errori medesimi non si ripetano in Italia, importa fin d’ora discutere quali avvedimenti si debbano accogliere nella legge commerciale e in quella tributaria per ridurre al minimo gli attriti del passaggio dal disordine contabile presente all’ordine futuro.
[1] VINCENZO SAMPIERI – MANGANO, La tassabilità delle azioni gratuite agli effetti dell’imposta di ricchezza mobile (in «Mercurio», Torino, fascicolo settembre-ottobre 1926, pag. 211).
[2] V. SAMPIERI – MANGANO, art. cit., pag. 201 e seg.
[3] Nella tabella do senz’altro i risultati dei calcoli fatti. Si omettono, per ragione di spazio, tre zeri, dando le cifre solo fino alle migliaia di lire. Aggiungerò soltanto che ho supposto altresì;
- 1° che all’attivo i 130 milioni di immobili, impianti e macchinario siano stati investiti per 10 milioni nel 1913, per 50 milioni nel 1920 e per 70 milioni nel 1925; e, per ridurre gli investimenti posteriori ad un comune denominatore col 1913, 1 lira investita nel 1920 fu ritenuta equivalente a 0,256 X 0,442 = 0,113 lira investita nel 1913, dove il valore 0,256 è il cambio della lira nel 1920 in confronto del pari e il valore 0,442 è la potenza di acquisto del dollaro del 1920 in confronto alla pari del 1913; e parimenti 1 lira investita nel 1925 fu fatta equivalere a 0,206 X 0,63 = 0,13 lira investita nel 1913, dove il valore 0,206 è il cambio della lira nel 1920 in paragone del pari e il valore 0,63 è la potenza d’acquisto del dollaro del 1925 in confronto alla pari del 1913;
- 2° che si fossero fatti in passato 45 milioni di ammortamenti eccezionali, suscettibili di essere ripresi in bilancio, di cui 5 nel 1913, 30 nel 1920 e 10 nel 1925;
- 3° che al passivo, i 140 milioni di capitale nominale siano stati versati per 20 milioni nel 1913, 60 nel 1920 e 60 nel 1925;
- 4° che i 10 milioni di riserva statutaria risalgano per 2 milioni al 1913, per 4 al 1920 e per 4 al 1925; e tutti questi valori indicati ai numeri 2, 3 e 4 si trasformarono in valori di tappa secondo le norme del n. 1;
- 5° che le altre partite dell’attivo e del passivo abbiano avuto il valore assunto nel bilancio presentato all’assemblea degli azionisti al momento della tappa seconda del processo di rivalutazione.
In realtà, investimenti e versamenti in pratica ebbero luogo in epoche assai più numerose di quelle supposte come pure è probabile che il paragone tra la lira del l920 e 1925 con quella del 1913 si dovesse fare su basi diverse da quella preferita col paragonare prima la lira del 1920 e del 1925 colla propria pari di cambio alla medesima data, ossia col dollaro, e poi il dollaro di quella data col dollaro del 1913. Ma la moltiplicazione dei momenti di investita del capitale e l’uso di metodi più raffinati di riduzione delle lire ad un comune denominatore non avrebbero assolto il calcolo dall’incancellabile peccato di arbitrio e non avrebbero aggiunto nulla al valore della conclusione a cui si intende di arrivare; la quale, essendo solo quella di inculcare la necessità di studiare il problema, per essere pronti a risolverlo a suo tempo, non varia qualunque siano gli avvedimenti usati nel fare i computi aritmetici necessari per la compilazione della tabella. Ed è ovvio altresì che gli amministratori delle società anonime non dovranno adottare i criteri di ricostruzione ora detti; ma altri desunti dalla pratica degli affari e dalla concreta cognizione della stima migliore da farsi delle attività di bilancio. Poiché qui si lavorava su un bilancio ipotetico, fu giuocoforza usare criteri parimenti ipotetici.
[4] Non ho, nella tabella, raffigurato il caso delle società ultra-previggentissime, le quali sappiano ridurre al passivo la cifra dei debiti nominali; e mantenere costante nominalmente la cifra dei crediti, cassa e monte merci. Sebbene di non impossibile verificazione, siffatto caso è talmente raro e fuori delle normali umane possibilità, da non francare la pena di svilupparne le, del resto ovvie, favorevoli illazioni.