Una statistica sui conflitti del lavoro
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 25/07/1924
Una statistica sui conflitti del lavoro
«Corriere della Sera», 25 luglio 1924
Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol.VII, Einaudi, Torino, 1963, pp. 752-754
Notizie sui conflitti del lavoro erano state pubblicate ripetutamente in appendice alle diverse esposizioni De Stefani; ma oggi la direzione generale del lavoro pubblica un volume apposito di dati statistici su I conflitti del lavoro in Italia nel decennio 1914-1923 (ministero dell’economia nazionale, Roma); da cui mette conto di estrarre qualche cifra. Non potendo riprodurre lunghe tabelle, darò prima per le industrie i dati degli anni di massima e di minima, riferiti agli scioperanti-giorni. Il dato degli scioperanti-giorni, ossia del numero dei giorni di lavoro perduti dagli scioperanti, sembra più significativo del numero degli scioperi e degli scioperanti. Del resto i massimi e i minimi per lo più coincidono.
La serie comincia dal 1880:
Scioperi
| Scioperanti
| Scioperanti – giorni
| |
1880
| 27 | 5.200 | 21.899 |
1882
| 47 | 5.854 | 25.119 |
1885
| 89 | 34.160 | 244.293 |
1886
| 96 | 16.951 | 56.772 |
1896
| 210 | 96.051 | 1.152.503 |
1899
| 259 | 43.194 | 231.590 |
1902
| 810 | 197.514 | 2.539.331 |
1905
| 628 | 110.832 | 827.058 |
1913
| 810 | 384.725 | 3.839.240 |
1915
| 539 | 132.136 | 673.015 |
1919
| 1.663 | 1.049.438 | 18.887.917 |
1922
| 552 | 422.773 | 6.586.235 |
1923
| 200 | 66.103 | 295.929 |
Per lo più i massimi coincidono (1885, 1902, 1913) con epoche di prosperità economica, di fervide iniziative industriali o di copiosi profitti (1919); mentre i minimi segnano momenti di stasi o di liquidazione. A ogni volta i massimi ed i minimi tendono a superare il livello raggiunto nel ciclo precedente; ma il massimo del 1919 supera ogni ragionevole previsione che si potesse ricavare dal passato e porta evidenti le tracce dell’inquietudine postbellica. Già nel 1922 era cominciata la discesa a livelli più ragionevoli; ma come era stato vertiginoso il rialzo, così fu potente la reazione, la quale fece discendere il minimo al disotto dei minimi precedenti del 1905 e del 1915; bisognando risalire ad un quarto di secolo addietro per avere valori più bassi. È chiaro che tanto il massimo del 1919 quanto il minimo del 1923 non si spiegano con puri fattori economici, bensì con la febbre bolscevica prima e con la rivulsione fascista poi.
È interessante notare come nella penultima minima, quella del 1915, in cui entrava già il fattore politico della guerra, il 45,64% degli scioperi è proclamato dalle camere del lavoro e dalle federazioni di mestieri, che per brevità si possono chiamare organizzazioni rosse; l’1,67% dalle organizzazioni cattoliche; lo 0,18% da amendue; il 15,03% da organizzazioni varie o sconosciute; ma il 37,48% lo sciopero sorge senza nessuna organizzazione. Negli anni sfavorevoli è facile che lo sciopero nasca da sé, per impulso di operai, senza aiuto delle leghe. Invece nel 1919, anno di gran massima, il 71,67% degli scioperi è proclamato dalle organizzazioni rosse, il 6,67 dalle cattoliche, lo 0,30 da amendue; ed appena il 5,71% da organizzazioni varie e sconosciute ed il 15,77% senza spinta di organizzazioni. Nel 1923, anno della gran minima, le organizzazioni rosse quasi scompaiono come originatrici di scioperi: appena il 9% è dovuto ad esse, l’8 alle cattoliche, lo 0,50 ad amendue ed il 2% alle diverse. Ma il 22% degli scioperi accade per iniziativa delle organizzazioni fasciste e, punto notabile, il 58,50% si verifica senza intervento di organizzazione. Scioperi per lo più autoctoni: nessuna organizzazione, segna la statistica governativa per il 1923.
Le «serrate» industriali, ossia le chiusure di stabilimenti per iniziativa padronale, non segnano le massime e le minime negli stessi anni degli scioperi. Negli ultimi 10 anni le giornate di lavoro perdute furono 35.670 nel 1914, si discende addirittura a 135 giornate nel 1915, si rimane bassissimi fino al 1918; nel 1919 si sale a 110.319, a 211.332 nel 1920, a 782.339 nel 1921, e si ridiscende a 378.207 nel 1922 ed a 151.508 nel 1923. I massimi nelle serrate si hanno per lo più quando le condizioni economiche si vanno facendo meno favorevoli; ma è significativo il fatto che il numero delle giornate perdute per serrata nel 1923 superi la metà di quelle perdute per scioperi; percentuale altissima, mai toccata prima.
Le vicende degli scioperi nell’agricoltura possono essere riassunte così, sempre per massime e minime di scioperanti-giorni:
Scioperi
| Scioperanti
| Scioperanti – giorni
| |
1880
| 1 | 100 | 200 |
1893
| 18 | 12.390 | 1.718.370 |
1896
| 1 | 100 | 100 |
1901
| 629 | 222.683 | 2.931.766 |
1903
| 47 | 22.507 | 341.847 |
1908
| 286 | 173.425 | 2.705.293 |
1918
| 10 | 675 | 3.270 |
1920
| 189 | 1.045.732 | 14.170.991 |
1921
| 89 | 79.298 | 407.393 |
1922
| 23 | 25.146 | 330.679 |
1923
| 1 | 110 | 540 |
Soggetti ad oscillazioni più estreme per le vicende stagionali dei raccolti, gli scioperi agricoli non coincidono sempre con quelli industriali; e se anche qui i massimi tendono a salire, i minimi precipitano più facilmente al basso. L’ondata scioperistica abbattutasi nel 1920 sull’Italia, già si ritraeva violentemente nel 1921 e nel 1922; nel 1923 si riduce a nulla. L’unico sciopero di quest’anno è segnato ufficialmente con nessuna organizzazione. Sorto da sé e spentosi spontaneamente dopo 5 giorni. La statistica non reca tracce di serrate nell’agricoltura. Le serrate paiono proprie dell’industria.