Aggravata crisi del franco e sue cause: offensiva o fuga?
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 08/03/1924
Aggravata crisi del franco e sue cause: offensiva o fuga?
«Corriere della Sera», 8 marzo 1924[1]
Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol.VII, Einaudi, Torino, 1963, pp. 629-633
Il nuovo ribasso del franco francese è tanto più rimarchevole in quanto viene dopo la chiusura delle discussioni finanziarie al parlamento di Parigi e dopo che sono stati approvati provvedimenti seri per il risanamento del bilancio.
Sarebbe prematuro affermare che il bilancio francese sia stato assestato in conseguenza di quei provvedimenti. Troppi punti neri rimangono ancora: le ferrovie francesi, il cui disavanzo a causa delle garanzie di interessi, finisce per cadere in parte notevole sul pubblico erario, presentarono nel 1923 un disavanzo di 1.288 milioni di franchi, superiore ai 1.114 milioni del 1922 e non inferiore quanto si sarebbe desiderato ai 2.088 milioni del 1921. Sui 1.288 milioni di disavanzo del 1923, ben 460 appartengono alla rete detta dello stato e sono completamente a carico dell’erario. Ancora incerta è, del pari, la situazione delle spese per le riparazioni, per cui si vorrebbe ridurre da 4.000 a 1.000 milioni la somma disponibile per il 1924, da 3.500 a 2.000 milioni la cifra dei buoni per la difesa nazionale da consegnare direttamente quest’anno ai sinistrati, da 8.000 a 5.000 milioni la cifra delle cartelle del Credit National da emettersi, e da 1.750 a 1.000 milioni la cifra delle annualità da pagarsi dal ministero delle finanze.
Anche l’aumento della circolazione fiduciaria dà luogo a qualche dubbio. Secondo il «Bullettin de statistique» della società delle nazioni, la circolazione dei biglietti dopo essere salita da 5.714 milioni alla fine del 1913 a 10.043 alla fine del 1914, a 13.310 alla fine del 1915, era arrivata a 37.275 alla fine del 1919 e lì s’era fermata con scarse oscillazioni. Ancora alla fine di novembre 1923 era a 37.329 milioni di franchi. Ma al 31 dicembre la vediamo a 39.114 milioni; e se al 21 febbraio torniamo a 38.895 milioni, alcuni temono che l’incanto dei 37 miliardi sia rotto e che si sia sulla strada di una nuova inflazione.
Per ora l’aumento aritmetico della circolazione non è in Francia proporzionalmente superiore che in Italia: in amendue i paesi trovandoci ora a circa sette volte la circolazione antebellica. In Italia però abbiamo superato il punto critico: la circolazione è quasi a 2 miliardi e mezzo al di sotto dei massimi; i buoni del tesoro brevi a scadenza non superiore ad un anno vanno scemando a favore dei buoni e dei debiti lunghi; il pareggio delle ferrovie può considerarsi acquisito per il 1924-25 invece che fra sei anni, come si spera in Francia; il pareggio nel bilancio generale dello stato è in vista. In Francia invece la circolazione aumenta; i buoni brevi non accennano a calare e trovano tiepidissima accoglienza nel pubblico, il disavanzo non è sperabile venga debellato se non fra un tempo più o meno lungo. Nel momento critico può bastare tuttavia un vigoroso colpo di sterzo per riportare la nave dell’erario in porto. Il fondo dell’economia francese è ottimo; la produzione del carbon fossile cresciuta da 3,4 milioni di tonn. al mese nel 1913 a 3,6 nel 1922 ed a 4 nel 1923; quella della ghisa da 434 a 427 ed a 443 migliaia di tonn. rispettivamente nei tre anni; il valore delle importazioni da 701 a 1.991 ed a 2.717 milioni di franchi al mese, e quello delle esportazioni da 574 a 1.720 ed a 2.535 milioni, con larghi margini di esportazioni invisibili. Ove soccorrano volontà ferma di agire e fiducia nell’avvenire, il momento critico può essere superato in Francia come fu superato in Italia.
In questo momento critico si sferra l’offensiva contro il franco. Offensiva contro il franco o fuga del franco?
L’opinione francese, quella almeno che trova eco nei giornali e alle camere, parla soltanto di offensiva contro il franco; e ne incolpa sovratutto i tedeschi e gli inglesi. Quando il marco cominciò la discesa che divenne poi precipitosa, anche i tedeschi parlavano di offensiva francese. In verità è difficile definire la parola «offensiva». Tradotta in linguaggio economico ordinario, quella parola pare abbia questo significato: Tizio, il quale crede che il franco francese non valga 95 centesimi di lira italiana, perché reputa che la Francia non riuscirà ad equilibrare il proprio bilancio e dovrà quindi stampare altra carta moneta, deprezzandola progressivamente, vende franchi francesi. Ne vende per 100.000 franchi, per 1 milione, per 10 milioni, a seconda del suo credito e del suo coraggio. A vendere ci vuole del coraggio, perché Tizio normalmente non possiede i franchi che vende. Li vende allo scoperto, obbligandosi a consegnarli alla fine del mese, perché spera di potere prima della fine del mese ricomprarli (ricoprirsi) ad un prezzo inferiore a 95 centesimi; per esempio a 94 od a 93 o persino a 90 centesimi. Compensando la vendita a 95 con la compra a 90, egli spera di guadagnare 5 centesimi, che su 100 mila franchi, fa 5.000 lire, su 1 milione 50 mila lire di beneficio.
Oggi pare siano in molti a sperare in questo senso: inglesi in primo luogo, tedeschi, austriaci, svizzeri, olandesi. Anche gli americani sono oggi al ribasso sul franco francese; ma le banche americane operano vendendo parte dei franchi che i loro clienti posseggono depositati presso banche parigine. Sembra che sia una grossa somma, la parte più grossa di circa 15-20 miliardi di franchi che gli americani hanno depositato in Europa. Gli altri: inglesi, tedeschi, olandesi, svizzeri sono al ribasso non perché vendano franchi effettivamente posseduti, ma sovratutto perché vendono franchi allo scoperto.
La situazione dei ribassisti è sempre pericolosa. Essi puntano sul realizzo delle loro previsioni. Prevedono che il bilancio francese non si riassesti. E se si riassestasse come accadde per il bilancio italiano?
Quanto sia rischiosa la posizione al ribasso si può argomentare dal forte deporto che i ribassisti pagano in questi giorni. Quando Tizio che ha venduto 100 mila franchi a 95 per la fine marzo, si accorge, alla vigilia o prima del giorno fissato per la consegna dei franchi venduti, di non potere ricomprarli, come sperava, a meno di 95, o quando spera, prolungando il tempo della consegna, di potere ricomprare a prezzi assai più bassi, egli va in cerca di un Caio, possessore di franchi francesi, il quale glieli impresti per un mese. Avutili in prestito, egli li consegna al venditore a fine marzo e resta obbligato a restituirli a Caio alla fine di aprile. Orbene, per avere 100 franchi in prestito per un mese, i ribassisti di questi giorni pagano 2,40 di interesse. Tizio cioè compra da Caio 100 franchi, consegna fine marzo, al prezzo di 95 lire e si obbliga a rivenderglieli a 92,60 a fine aprile. Pagare 2,40 al mese vuol dire pagare un interesse enorme in ragion d’anno.
Chi sono coloro che posseggono franchi da imprestare? Sono i rialzisti del cambio francese, i quali hanno comperato a 95 perché sperano di potere rivendere a 97, a 100, od a 105 lire. Cosa interessante, gli italiani sono per lo più rialzisti. Sia fiducia nella ripresa della Francia, sia l’ottimismo generale odierno nelle borse italiane, sia l’inveterata abitudine di certe regioni italiane (dicono che gli ordini d’acquisto siano venuti sovratutto dal mezzogiorno) di speculare al rialzo sulle monete estere, sta di fatto che in Italia ci devono essere oggi circa 500 milioni di franchi francesi comprati recentemente da privati italiani, fiduciosi nell’avvenire del franco francese. Narro, non giudico. Ed accade perciò che, attraverso le banche e le borse, questi 500 milioni di franchi posseduti da italiani, sono, come ho spiegato sopra, imprestati di mese in mese ai ribassisti inglesi o tedeschi o svizzeri che hanno fatto l’operazione inversa e sono al ribasso sul franco. Dimodoché i rialzisti italiani aiutano, riscuotendo frattanto un buon profitto (deporto), i ribassisti stranieri a prolungare la loro operazione al ribasso.
Con la vittoria di chi si chiuderà la singolare tenzone?
La risposta dipende dai francesi. Se il governo francese agirà con energia non nel senso di incriminare gli speculatori, che è cosa buffa, ma nel senso di risanare il bilancio, fare economie, esigere imposte dure, vinceranno i rialzisti. Altrimenti vinceranno i ribassisti. La vittoria spetterà a chi avrà saputo prevedere più giusto.
Oggi, il nemico maggiore del governo francese non è il ribassista straniero, il quale in sostanza è un osservatore, il quale rischia i proprii danari su previsioni giuste o sbagliate; è il cittadino francese. Nel momento critico, invece di avere fiducia, il cittadino francese ha preso paura. Dominato dal panico, vende franchi e compra sterline o dollari; e cioè vende titoli francesi e compra titoli esteri. Col panico non si ragiona; ma sta di fatto che i grandi titoli francesi fruttano intorno al 7%. I francesi buttano via i loro titoli al 7% e comprano titoli esteri al 5 od al 4%. Hanno paura delle imposte nazionali e si assoggettano senz’altro ad una riduzione di reddito ben piu forte. Un po’ ciò che accadde da noi, tra il 1919 e il 1920. Una vera fuga del franco. Se un richiamo risoluto non riordina in tempo l’esercito la fuga potrebbe diventare una rotta. Il ribasso del franco farebbe rialzare i prezzi, crescere le spese dello stato, e renderebbe impossibile quel pareggio, da cui dipende il miglioramento del franco. Nella vita della Francia il momento attuale è davvero drammatico.
[1] Con il titolo Aggravata crisi del franco e sue cause. La circolazione fiduciaria aumentata di 900 milioni. Offensiva o fuga? [ndr].