Il conto del tesoro al 31 dicembre 1923
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 27/01/1924
Il conto del tesoro al 31 dicembre 1923
«Corriere della Sera», 27 gennaio 1924
Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol.VII, Einaudi, Torino, 1963, pp. 572-575
Il conto del tesoro al 31 dicembre 1923 è un documento ancor più ricco di quelli precedenti. Nell’imbarazzo della scelta, riprodurrò alcuni dati sparsi, tra i più significativi. Nel quadro degli «incassi di bilancio» c’è una novità ed è la cifra degli incassi per «anno solare» invece che per esercizio finanziario. Le entrate «effettive ordinarie» gittarono, astrazione fatta da 7.713 milioni di regolazioni di partite passate, 17.204 milioni nel 1923 contro 14.662 nel 1922. Al progresso veramente notevole contribuirono: l’imposta sul patrimonio (da 493 a 663 milioni); l’imposta sugli scambi (da 205 a 433); le dogane ed i diritti marittimi (da 1.239 a 2.648); lo zucchero (da 679 ad 814). È pressoché scomparsa invece la tassa sulla circolazione dei biglietti bancari, ridottasi da 235 a 7 milioni. Come si sa, essa fu ingoiata dai salvataggi bancari, i quali sembra non si riprodurranno più, essendo stata decretata la cessazione dell’attività di quella sezione del consorzio per sovvenzioni industriali, che si occupava di faccende, da cui lo stato avrebbe dovuto tenersi sempre lontano.
Il buon andamento delle entrate ha avuto una favorevole influenza sulla situazione di bilancio. Nel semestre luglio – dicembre, le entrate effettive accertate o riscosse in conto della competenza dell’esercizio in corso e le spese effettive impegnate in conto dello stesso esercizio ed a carico del semestre medesimo hanno avuto il seguente andamento (in milioni di lire):
Ordinarie
| Straordinarie | |
Entrate | 8.177
| 387 |
Spese | 5.809 | 2.961 |
Avanzo o disavanzo | + 2.368 | – 2.575 |
Il disavanzo effettivo totale del semestre risulta di 206,5 milioni di lire.
Quale sia il significato assolutamente preciso di questa cifra non oserei dire. Trattasi di metà soltanto dell’esercizio e il secondo semestre potrà essere fecondo di maggiori spese del primo, essendoci talune spese che si cumulano alla fine dell’esercizio. Se si suppone che nel secondo semestre si abbiano entrate uguali alla metà della previsione dell’intiero esercizio; e che le spese siano uguali alla differenza tra gli impegni assunti a carico di tutto l’esercizio e quelli già calcolati come assunti nel primo semestre, con aggiunta degli stanziamenti di bilancio non ancora impegnati, si avrebbe il seguente risultato (in milioni di lire):
Ordinarie
| Straordinarie | |
Spese impegnate per il secondo semestre | 5.109 | 2.604 |
Stanziamenti di bilancio non ancora impegnati | 1.649 | 591 |
Totale spese previste impegnate e da impegnare | 6.758 | 3.195 |
Ordinarie
| Straordinarie | |
Entrate previste per il secondo semestre | 7.190 | 641 |
Avanzo o disavanzo | + 432 | – 2.553 |
È quasi certo che le entrate ordinarie saranno maggiori delle previsioni, dimodoché, non variando molto le spese, l’avanzo nella categoria ordinaria sarà maggiore di 432 milioni. Non oserei fare previsioni rispetto alla categoria «straordinaria» trattandosi di elementi che sfuggono alle previsioni. Se non variassero (ma varieranno quasi sicuramente in meglio) le previsioni ora fatte, il bilancio dell’esercizio 1923 – 24 si chiuderebbe così (in milioni di lire):
Entrate e spese effettive
Ordinarie
| Straordinarie | |
Avanzo o disavanzo accertato per il primo semestre | + 2.368 | – 2.575 |
Avanzo o disavanzo calcolato per il secondo semestre | + 432 | – 2.553 |
Avanzo o disavanzo dell’anno | + 2.800 | – 5.128 |
Il disavanzo complessivo risulterebbe di 2.328 milioni di lire.
Una nota dice che il disavanzo di 2.575 milioni verificatosi nella parte straordinaria deriva «principalmente» da:
- impegni assunti per risarcimenti di danni di guerra;
- pensioni di guerra;
- pareggio del bilancio delle ferrovie dello stato per l’esercizio in corso.
La prima e la terza causa del disavanzo nella parte straordinaria dovrebbero cessare di agire entro due anni; la seconda continuerà per più lungo tempo; con forza decrescente. Sarebbe molto interessante se in qualcuna delle note o con una diversa sistemazione del quadro delle spese fosse spiegato quale valore hanno questi elementi per potere apprezzare il cammino compiuto verso il pareggio.
Forse l’avanzo accertato nel primo semestre deve essere di fatto maggiore di 2.368 milioni. Tra le spese impegnate furono invero con tutta probabilità iscritti i 208 milioni di interessi sui debiti pubblici inglesi, che è una scritturazione destinata a rimanere sulla carta. Probabilmente, l’avanzo del secondo semestre figurerà a suo tempo minore di quello che di fatto sarà per la stessa ragione e per una cifra di circa 800 milioni.
Dopo tutte queste favorevoli constatazioni riesce alquanto enigmatica una nota la quale dice testualmente: «per coprire tale disavanzo effettivo (del primo semestre, che vedevamo essere di 206,5 milioni di lire) furono accertate delle accensioni di debiti, al netto delle estinzioni, per milioni 1.145. Ma a causa delle buone condizioni della cassa, furono limitate finora a 517 milioni». Come si fa ad accendere 1.145 milioni di debiti e sia pure di soli 517 milioni, se il motivo di accendere debiti fu, come osserva la nota, di coprire un disavanzo di 206,5 milioni di lire? Forse si voleva dire: «per coprire tale disavanzo effettivo, di 206,5 milioni e per provvedere al disavanzo previsto pel secondo semestre».
L’impressione ognora più viva che si ricava dalla lettura dei successivi conti del tesoro è questa:
- se si pone una pietra sepolcrale sui debiti interalleati;
- se i disavanzi nei servizi pubblici (ferrovie, poste e telegrafi, ecc.) hanno termine in breve tempo;
- se in due anni si liquidano i risarcimenti veneti;
il pareggio dipende esclusivamente dal fermo opposto alle nuove spese. Ai contribuenti deve essere detto ben chiaro: che istituzioni di nuove imposte, inasprimenti ed accertamenti eccezionalmente severi per quelle vigenti sono necessari solo se si deliberano nuove spese. Nel primo semestre dell’esercizio in corso furono, dopo e in aggiunta a quelle previste nel bilancio, cresciuti di 654,8 milioni di lire gli stanziamenti di spesa. Parecchi di questi maggiori stanziamenti furono tali che il ministro delle finanze non può aver pensato neppure un momento a ritardarli. Quando sono in giuoco i supremi interessi del paese non si esita. Ma se ciò non si può dire di tutti i 654 milioni, non è forse questo l’unico ostacolo sopravvivente al raggiungimento del pareggio? E non è doveroso, quando tanti ricominciano ad invocare nuove spese, gridar ben forte che la vittoria dipende oramai soltanto dalla resistenza che il ministro delle finanze saprà opporre ai postulanti nuove spese?