Significati e insegnamenti delle elezioni inglesi. Gli sforzi per un nuovo equilibrio dei partiti. Fattori politici e fattori economici.
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 09/12/1923
Significati e insegnamenti delle elezioni inglesi. Gli sforzi per un nuovo equilibrio dei partiti. Fattori politici e fattori economici.
«Corriere della Sera», 9 dicembre 1923
Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol.VII, Einaudi, Torino, 1963, pp. 488-491
Il pendolo elettorale inglese ha oscillato, andando contro il partito al potere, secondo il costume tradizionale dei paesi dove le elezioni si svolgono all’infuori dell’azione del governo. Le elezioni dell’anno scorso avevano dato una grande maggioranza ai conservatori. Una ondata sentimentale conservatrice, anti umanitaria, anti socialista aveva spazzato via, come un fuscello, i resti dei vecchi partiti liberali. Lloyd George, che durante la guerra aveva stretto alleanza con i conservatori, era rimasto con una piccola pattuglia; e poco più numerosi erano i liberali puri, tradizionalisti, fedeli ad Asquith. Tra tutti numeravano appena 117 seguaci e, disgiunti, contavano ancora meno. Erano cresciuti i laburisti, partito di tutela degli interessi operai, non socialista, ma progettante nazionalizzazioni di carbone, di ferrovie e di banche. Ma poiché essi, pur essendo 143, non sarebbero riusciti a nulla anche alleandosi coi liberali, il governo era saldamente in mano ai conservatori, forti di 347 voti. Nove «selvaggi» completavano il numero di 615.
Le notizie che si hanno al momento di scrivere, sebbene non del tutto compiute, ci dicono che la maggioranza è nettamente tolta ai conservatori. Essi hanno perso circa 100 voti alla Camera dei comuni e non possono più governare da soli. Sembra difficile che essi riescano a formare una coalizione sia con i liberali sia con i laburisti; e quindi pare ovvio pronosticare una coalizione fra questi due ultimi partiti. Il pendolo ha oscillato a sinistra. Entrano nella vittoria liberale laburista fattori politici e fattori economici.
Il disordine crescente dell’Europa centrale, la convinzione che il disordine sia alimentato dalla politica francese, ha alienato profondamente le simpatie delle classi medie e delle masse operaie dai «die hards», dai duri a morire, i quali come in Irlanda volevano applicare la maniera forte, così incoraggiavano il signor Poincaré nelle sue mire separatiste e distruggitrici dell’unità tedesca. È stata una gran disgrazia per il signor Baldwin di non aver saputo sottrarsi alla tutela di queste teste esaltate, le quali credono di conservare e crescere l’impero con il coercizionismo e con la spada fiammeggiante anche in tempo di pace. La repugnanza invincibile degli inglesi per tutto ciò che sa di guerra in tempo di pace ha danneggiato molto la causa conservatrice. Essi, adagio adagio, si decidono a far la guerra quando occorre; ed allora vanno sino in fondo. Ma, passato il pericolo, non vogliono più sentirne parlare. Le occupazioni della Ruhr, i neri in Europa, i soldati britannici in Mesopotamia danno loro fastidio. I liberali, i quali promettono di tornare alla normalità, hanno di nuovo trovato orecchie pronte ad ascoltarli. È cresciuto ancora il favore per i laburisti. Partito sostanzialmente d’ordine, che non insiste troppo sulle nazionalizzazioni, che propone da anni una leva sul capitale, ma si rassegnerà probabilmente a non applicarla quando dovrà andare al potere d’accordo con i liberali, che viene dalle miniere e dalle officine, ma va correttamente a corte a rendere omaggio al re, il partito laburista è forse destinato a crescere ancora nell’avvenire.
Ma la reazione, tarda come si usa lassù, contro la prosecuzione della guerra in tempi che si desiderano pacifici, il ritorno agli ideali liberali, l’affermazione progressiva del laburismo non avrebbero bastato a togliere di seggio i conservatori se questi non avessero commesso l’errore incredibile di porre sugli altari l’idolo che il popolo subito qualificò «della pagnotta cara». Il signor Baldwin si era, invero, sforzato a dare al programma protezionistico un colore simpatico di affermazione dei legami tra la madre patria e i dominii autonomi e le colonie. Non dazi per rincarar la vita, ma soltanto per consentire alle colonie di vendere i loro prodotti a preferenza degli stranieri alla madre patria. Il tentativo non riuscì. Né riuscì l’altro tentativo di far credere che si volevano proteggere con dazi le industrie nazionali perché queste potessero dare lavoro ad 1 milione 300.000 disoccupati.
I disoccupati per i primi diedero voto contrario ai dazi. Le donne, per la prima volta chiamate ad esercitare su vasta scala il loro diritto di voto, si inalberarono contro la pagnotta cara e i vestiti rincarati. Il solido buon senso dell’elettore medio ragionò: o i conservatori vogliono sul serio difendere le industrie nazionali contro la concorrenza straniera ed allora essi devono imporre dazi su merci che le colonie non producono, col solo risultato di rialzare i prezzi dei manufatti a danno dei consumatori, senza vantaggio per le colonie che non producono manufatti, ma materie prime o derrate alimentari. O si vuol dare una preferenza seria alle colonie ed in tal caso bisogna mettere dazi sulla lana, sul cotone, sul frumento, sulle pelli, sul legname dell’estero, per favorire l’importazione dalle colonie ed in tal caso, restringendo il mercato, essi rincareranno il pane e rialzeranno il costo della vita in generale. In nessun caso i disoccupati ne trarranno vantaggio perché essi appartengono ad industrie le quali esportano all’estero; ed oggi non esportano perché l’Europa continentale non consuma. Quindi bisogna sovratutto riorganizzare l’Europa; appoggiare provvedimenti che tendono alla ricostituzione dei mercati, un tempo avidissimi, dell’Europa centrale ed orientale. Quindi bisogna non restringersi nel guscio dell’impero, ma riprendere rapporti d’amicizia e di commercio con i popoli stranieri. Un’Inghilterra prospera, dove non ci siano più 1.300.000 disoccupati, sarà a sua volta un mercato meraviglioso, senza bisogno di preferenze, per le colonie. L’impero si sviluppò e crebbe nei tre quarti di secolo di regime liberista, grazie appunto alla libertà degli scambi ed alla perfetta indipendenza delle colonie dalla madre patria. I vincoli morali crebbero in ragione dell’allentarsi delle costrizioni economiche; e crebbero anche gli spontanei proficui scambi commerciali. La libertà, ecco il solido cemento che tiene insieme le varie parti dell’impero mondiale. Gli uomini liberi delle più sparse plaghe del mondo vennero a spargere il loro sangue a fiotti a Gallipoli e nelle Fiandre, perché così essi liberamente decisero. Se fossero stati costretti, non sarebbero venuti. Durante la guerra, l’Inghilterra poté spendere miliardi e far prestiti grandiosi agli alleati perché essa era il centro monetario del mondo; ma lo era divenuto senza privilegi e senza costrizioni per nessuno: in virtù esclusivamente dei servigi che essa rendeva altrui e gli altri ritenevano conveniente di acquistare. Questa la gran forza dell’Inghilterra in passato. Le elezioni odierne dicono che gli inglesi tengono fede al passato e non corrono dietro a miraggi vani di imperialismi coercitivi.