Riforme ed economie
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 27/01/1923
Riforme ed economie
«Corriere della Sera», 27 gennaio 1923
Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol.VII, Einaudi, Torino, 1963, pp. 68-71
L’ultimo consiglio dei ministri è stato forse il più fecondo di quanti si sono fin qui tenuti durante la vita dell’attuale gabinetto per quanto attiene al conseguimento del pareggio del bilancio. È naturale che le economie non possano essere precisate d’un colpo, se si vuole che esse siano durature: ma talvolta si aveva l’impressione che quelle sinora decretate fossero economie di scarsa importanza (soppressione di consigli e commissioni di parata non funzionanti di fatto) e che i nuovi ordinamenti militari, per quanto informati in principio a concetti giusti, come su queste colonne si dimostrò, potessero importare un aumento anziché una diminuzione di spese in confronto all’ordinamento o mancanza di ordinamento vigente. Con gli ultimi consigli e specialmente con l’ultimo, entriamo, con un vigoroso colpo di timone, in piena riforma della burocrazia e in primo luogo della burocrazia ferroviaria. 36.000 ferrovieri licenziati prima del settembre del 1923; il numero dei ferrovieri che era di 155.000 al 30 giugno 1914; che poteva legittimamente crescere di circa 6.000 per l’assunzione delle linee ex austriache ed era invece salito a 241.000 nell’agosto 1921, scendendo oggi a 226.000, sarà ulteriormente ridotto a 190.000 circa. La diminuzione servirà solo a sfollare le ferrovie di stato dal personale meno laborioso e capace; ma la riforma non toglierà agli agenti rimasti né lo stipendio attuale né le otto ore, razionalmente applicate.
Non ritorniamo sui particolari del decreto, che tutti hanno potuto leggere. Dall’applicazione di questo decreto, come di quello il quale ordina la revisione di tutti gli impiegati assunti dopo il maggio 1915, deriveranno dolori individuali. Pietosi casi di famiglie prive del loro sostentamento non potranno essere evitati. Le norme, generose quanto potevano essere negli attuali frangenti, di quiescenza e di indennità, provvederanno a lenire i più acuti di questi dolori. Gioverà a persuadere i colpiti della inevitabilità del provvedimento il senso rigoroso di giustizia a cui si inspireranno i ministri ed i commissari. Essi sapranno certo evitare che si possa avere anche la impressione che si vogliano cacciare gli uni di posto per collocare altri. Specialmente il provvedimento di revisione si presterà alle querele di parte di chi dirà che si sono volute eliminare le clientele democratico-socialiste per sostituirle con fedeli al nuovo regime. Il presidente del consiglio ha apertamente dichiarato che questo non è lo scopo della revisione. Questa vuole eliminare soltanto i non valori, gli incapaci, i poltroni, i favoriti per non sostituirli con nessuno, se la sostituzione non è necessaria, ovvero per sostituirli, ove al posto bisogni provvedere, con i giovani che hanno dato il sangue e offerto la vita per la patria e nel tempo stesso hanno la specifica capacità tecnica necessaria a coprire il posto fatto vacante. L’opera intrapresa è grande; e bisogna ad ogni costo evitare di dare qualunque appiglio agli estremi rossi od alle vecchie clientele di affermare che si vogliono ripetere gli errori del periodo dopo il 1860, quando bastava aver combattuto o cospirato od emigrato per aver diritto a diventar magistrati o professori di liceo o d’università o sottoprefetti del regno, anche se si sapeva a stento leggere e scrivere. Noi siamo sicuri che l’impresa grande e meritoria di risanamento del bilancio non potrà essere turbata da alcuna recriminazione; e che anche i colpiti rientreranno in seno alla famiglia dei lavoratori privati, riconoscendo che il sacrificio proprio era doveroso per la salvezza della patria.
Ci siamo attardati in questi decreti, che sono i più importanti; ma anche su altri punti il nostro consenso è pieno. E così:
- la deliberazione di non regolamentare i giuochi d’azzardo e di reprimerli dovunque severamente;
- la vendita all’asta di tutto il materiale residuato dalla guerra;
- la riduzione del dazio doganale sullo zucchero;
- l’annunciata revisione dell’ordinamento delle imposte di successione;
non possono non essere accolte con plauso. Delle imposte di successione si dirà a suo tempo, quando si conosceranno le linee della riforma; ma fin d’ora si può dire che la riduzione da 0,7 a 0,2 del coefficiente di maggiorazione del dazio sullo zucchero è un buon passo sulla strada dell’abolizione delle maggiori soperchierie doganali degli ultimi anni. Riassumendo, si può dire questo: che lo zucchero di prima classe godeva nel 1916 di una protezione doganale di 23 lire-oro. Oggi, la protezione era di 18 lire col coefficiente 0,7, il che portava il dazio doganale a 30,60 lire-oro equivalenti a 123 lire-carta circa. Ciò voleva dire che gli zuccherieri potevano aumentare il prezzo dello zucchero nazionale di ben 123 lire per quintale al disopra dello zucchero estero prima che quest’ultimo potesse entrare in Italia a far da calmiere. Su 2,6 milioni di quintali consumati in Italia, erano 320 milioni di imposta privata che gli zuccherieri facevano gravare sui consumatori italiani. Gli zuccherieri pare avessero avuto l’abilità di far inserire nella legge una norma per cui il coefficiente di maggiorazione poteva essere elevato da 0,7 a 1, ma non ridotto al disotto di 0,7. L’on. De Stefani invece l’ha ridotto a 0,2; e così il dazio viene ridotto in complesso da 30,60 a 21,60 lire-oro ossia ad 86 lire-carta circa. Sono 9 lire-oro e 36 lire-carta di meno ossia da 90 a 100 milioni di meno di imposta privata. In condizioni normali il prezzo dello zucchero dovrebbe diminuire di circa 35 centesimi al chilo. Benissimo fatto.
Di un ultimo ed importantissimo decreto non abbiamo parlato, perché i giornali ne contengono finora solo le motivazioni e non il testo preciso: vogliamo accennare ai provvedimenti per i cantieri navali. Qui il giudizio deve rimanere giuocoforza sospeso in attesa di leggere le misure precise dei compensi concessi. A quanto pare, il decreto sembra sia risultato un compromesso fra l’assoluta e compiuta franchigia doganale per tutti i materiali da costruzione invocato dal congresso degli ingegneri navali di Genova e il ripristino puro e semplice della legge del 1911. Pare che la franchigia sia stata concessa solo per i materiali metallici di prima lavorazione: non quindi per i macchinari e per gli altri materiali; che si sia offerta l’alternativa ai cantieri fra l’introduzione in franchigia dall’estero e il compenso sui materiali nazionali, e che si siano conservati i compensi di costruzione della legge del 1911, aggiornati ossia aumentati in ragione della svalutazione della moneta. Da questi dati non è possibile farsi un’idea della soluzione deliberata. Un dato solo sembra fisso: che il ministero precedente aveva presentato un progetto di spesa di 325 milioni, mentre il progetto attuale importa una spesa globale di 156 milioni distribuita negli esercizi dal 1922-23 al 1925-26. È un’economia; ma sarebbe bene sapere quale spesa avrebbe importata l’applicazione pura e semplice della legge del 1911 e perché non si sia voluta la franchigia assoluta, sufficiente per i cantieri ed innocua per l’industria siderurgica, la quale ha nei cantieri un cliente trascurabile.