Collaborazione fascista e lotta di classe socialista
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 18/10/1922
Collaborazione fascista e lotta di classe socialista
«Corriere della Sera», 18 ottobre 1922
Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. VI, Einaudi, Torino, 1963, pp. 897-900
Il concordato tra i fascisti ed il cantiere Orlando merita di essere segnalato come un esempio di quella politica di collaborazione che il fascismo afferma di volere sostituire alla vecchia lotta di classe dei socialisti. Alla quale lotta di classe, i fascisti rimproveravano giustamente di essere il frutto di una imposizione violenta di uno dei fattori della produzione agli altri fattori e di risolversi non di rado con un danno ai terzi, consumatori o contribuenti, su cui cadevano le conseguenze dei rialzi di costo determinati dalla vittoria delle leghe rosse.
Non sembra che la nuova «collaborazione» abbia sostanzialmente connotati molto diversi da quelli della vecchia lotta di classe. Quando i fascisti prendono le parti di un certo gruppo operaio o contadino, se l’industriale o l’agricoltore non cede subito, sono botte da orbi. Nell’«Assalto» di Bologna, certi proprietari di terre in quel di Budrio, restii ad occupare tanti disoccupati quanti piacciono al fascio, sono qualificati «un branco di beccamorti» e si dà la preventiva adesione «alle legnate che il fascio vorrà distribuire agli agrari cretini del proprio comune». Nel caso Orlando, non ci furono le legnate; ma, trattandosi di una industria in grande, ci fu l’ultimatum con ordine perentorio di riaprire gli stabilimenti entro il 16 ottobre, sotto pena di occupazione da parte delle squadre fasciste.
Scientificamente, dovendo usare parole diverse solo per esprimere fatti diversi, io sono costretto a concludere che le parole «lotta di classe» e «collaborazione» sono sinonimi, perché e finché si concretano nei medesimi atti violenti.
Che cosa di diverso poteva fare una lega rossa per imporre la propria volontà agli industriali avversari?
Ma, si osserva, se gli atti sono identici, lo spirito animatore è diverso.
In quel di Budrio, si minacciano le bastonate ai soli proprietari apatici, incompetenti, i quali lasciano allagare le loro terre per mancanza delle opere di scolo, o conservano case coloniche semidiroccate e non fanno far niente per aiutare le classi lavoratrici e per risolvere il problema della disoccupazione. Le stesse precise allegazioni le facevano dianzi le leghe rosse, per giustificare quell’imponibile di un minimo di mano d’opera che ora i fascisti hanno fatto proprio. Anche i socialisti, anche i popolari gridano che essi mirano all’incremento della produzione agricola nazionale, anche contro od attraverso l’ignavia dei proprietari. Se gli atti sono identici e se le motivazioni degli atti sono letteralmente uguali, dove trovare la differenza tra socialismo e fascismo? Che abbia ragione l’on. Grandi, quando in nome del fascismo afferma che questo «sta appropriandosi giorno per giorno di tutta la concreta e storica funzione del socialismo»? E se i liberali dimostrarono e dimostrano ancor ora, e molti fascisti, quando parlano in teoria, dimostrano anch’essi che gli atti del socialismo conducevano il paese alla rovina e le masse alla miseria; se gli infantili metodi di provvedere alla disoccupazione coi lavori forzati imposti ai proprietari distruggevano, quando ne erano colpevoli i socialisti, ricchezze e diminuivano la domanda di lavoro, forseché dovrebbe il giudizio cambiare solo perché gli stessi atti con gli stessi motivi sono compiuti dai fascisti?
A Livorno, la motivazione dell’ultimatum e del concordato forzoso, è elegante, ma riproduce sostanzialmente le vecchie motivazioni rosse. I fascisti ci tengono molto a mettere in rilievo che il cantiere Orlando «non chiede sovvenzioni o sussidi» e che essi non vogliono rendersi partecipi di una simile richiesta. Era il meno che si potesse affermare in un concordato, a cui poneva la sua firma, «per i gruppi nazionali di competenza» Giovanni Preziosi, gran nemico, ed a giusta ragione, di ogni sussidio statale a privati o cooperative.
Ma anche i socialisti affermavano di non volere sovvenzioni o sussidi; e quando ottenevano milioni, se li facevano dare in riconoscimento di «giusti e sacrosanti loro diritti», o a titolo di legittimi compensi per servigi od opere compiute a vantaggio dello stato. E quando noi parliamo di sussidi, i cooperatori rossi vanno in bestia e gridano alla calunnia. L’essenziale non è il «nome» del sussidio; è che esso non esista sotto nessuna forma. Ora, io ho gran paura che nel concordato Orlando il sussidio ci sia, sia pure mascherato come quelle indennità che il governo del tempo Giolitti-Nitti negò furibondamente di voler dare alle espropriate imprese private di assicurazione sulla vita e furono invece date, larghissimamente, nascondendole nelle pieghe del prezzo di riscatto del portafoglio ceduto all’Istituto di stato. A leggere il testo del concordato Orlando, la piega pare che abbia nome «giudizio arbitrale sulla divergenza fra cantiere e stato, dato secondo giustizia ed equità e non in linea di stretto diritto». Il movimento di parole è grazioso; ma temo che il contribuente finirà di trovarvi poca soddisfazione.
Il punto è il seguente: il cantiere Orlando chiude i battenti perché i suoi dirigenti domandano allo stato un aumento di prezzo, su certe ordinazioni di otto cacciatorpediniere per la regia marina, supponiamo di 200 milioni, e lo stato vuol dare 100. Il cantiere sostiene che i 200 gli sono dovuti in giustizia ed in equità; lo stato replica che in diritto ne deve solo 100. Quale è la differenza fra la giustizia ed il diritto? Essa si chiama «sussidio».
Ed invero lo stato non può pagare ad un privato neppure un centesimo di più di ciò che per legge o convenzione stipulata nelle forme di legge deve pagare. Un amministratore della cosa pubblica non amministra denari suoi, ma denari dei contribuenti. Dei denari suoi ne può fare l’uso che crede; pagando ciò che ritiene giusto od equo o anche semplicemente opportuno. Dei denari dei contribuenti non è lecito fare lo stesso uso. Regole precise e strette e rigide devono governarne l’impiego, se non si vuole aprire la porta agli abusi più gravi. I privati, i quali contrattano con lo stato, sanno di correre il rischio di una interpretazione rigorosa del contratto stipulato. Lo sanno e probabilmente si sono premuniti contro quel rischio, aumentando i prezzi. Sembra che il cantiere Orlando non avesse preveduto a sufficienza i rischi a cui andava incontro accettando la fornitura degli otto cacciatorpediniere ad un dato prezzo. Perciò si trova in cattive acque; e pretende che lo stato lo salvi. Io non voglio affatto entrare in merito alla questione su quanto gli sia dovuto. Tutto ciò che gli è dovuto deve essergli pagato. Ma se il cantiere Orlando chiede un centesimo di più oltre quanto gli è dovuto secondo la convenzione stipulata, sia ben chiaro che il di più potrà essere pagato «per equità»; ma non essendo dovuto per contratto, è un sussidio dato dallo stato per salvare un’azienda pericolante. Che cosa hanno mai chiesto di diverso certi socialisti per certe loro cooperative; che cosa di diverso chiedono certi capitalisti per i loro cantieri navali o per gli zolfi o per mille altre cose? Sempre la giustizia e l’equità si invocano; mai lo stretto diritto. E che significato hanno il prendere atto, da parte fascista, della dichiarazione fatta da Orlando che entro due mesi il cantiere tornerà a chiudersi se la questione non sarà ancora risoluta, evidentemente secondo i suoi desideri; e l’impegno di dare l’appoggio fascista a che la vertenza sia appunto risoluta al più presto e in modo equo e giusto, se non la minaccia di sanzioni contro il governo che osasse tenersi fermo, come è dovere suo di amministratore del denaro altrui, al diritto puro e semplice, senza mescolanze di giustizia e di equità? La sanzione non sarà più lo sciopero generale dei socialisti; sarà una spedizione in forza. Ma gli effetti, la sostanza, il contenuto sono gli stessi di quelli notissimi di marca socialista. Se il fascismo fosse tutto qui; se gli episodi del senese, di Budrio, di Livorno fossero la regola, ci sarebbe da disperare dell’avvenire del paese. Per fortuna i capi e gli scrittori del fascismo hanno in maggioranza ancora un’altra dottrina. Si deve sperare, anche contro l’evidenza di troppi fatti, che essi riescano ad imporre ai loro seguaci l’ossequio alla dottrina professata ed abbiano il coraggio di tener lontani i troppi che vorrebbero traviarla.