«Non ci sono quattrini!» (Dal rapporto Geddes)
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 28/02/1922
«Non ci sono quattrini!» (Dal rapporto Geddes)
«Corriere della Sera», 28 febbraio 1922
Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. VI, Einaudi, Torino, 1963, pp. 578-582
Le conclusioni dei due rapporti presentati dal Comitato presieduto da Sir Eric Geddes e composto di Lord Inchcape, Lord Faringdon, Sir Joseph Maclay e Sir Guy Granet sono oramai note al pubblico italiano. Il gabinetto, essendosi trovato di fronte ad un bilancio di spesa di 603 milioni di lire sterline (all’infuori delle spese cosidette consolidate e di quelle irriducibili per debito pubblico), invitò dapprima i ministeri a proporre riduzioni. Ma i ministeri tagliarono via solo 75 milioni, eliminando le spese che per loro natura bellica venivano naturalmente meno o prendendo atto dell’effetto del ribasso dei prezzi. Non contento, il gabinetto incaricò i quattro grandi banchieri industriali e commercianti sovra ricordati, con a capo un ex ministro, il Geddes, che era stato brillante uomo d’affari, di proporre ulteriori tagli. Fu quasi uno scandalo nel mondo parlamentare, dove si mormorò assai contro l’atto di affidare l’esame del bilancio ad alcuni privati prima che alla Camera dei comuni. I cinque si misero all’opera; ed ora presentano due rapporti relativi a 408 sui 528 milioni, i quali ancora rimanevano dopo l’eliminazione burocratica dei primi 75 milioni. Menando sciabolate da orbi, propongono di eliminare 75 altri milioni sui 408; e probabilmente proporranno di tagliare 25 milioni sui 120 su cui devono ancora riferire. Sui 75 milioni, 21 sono portati via all’esercito, 20 alla marina, 5,5 all’aviazione, 18 all’istruzione pubblica, 2,5 alla pubblica sanità, 3,3 alle pensioni di guerra, 538.000 al commercio, 500.000 ai crediti all’esportazione, 855.000, all’agricoltura, 1.595.000 alla polizia e prigioni, 1.274 a vari dipartimenti.
Non è possibile entrare in particolari sulle cifre; sicché sembra più opportuno dire qualche cosa dello spirito che mosse la compagnia della lesina a far tagli disperati in tanti campi della pubblica spesa. Essi non mettono in forse l’importanza della spesa per se stessa; e non di rado rendono omaggio allo spirito civico di coloro che sono preposti ad un determinato ramo di servizio. Parlando della commissione forestale, la quale per il rimboschimento spese 99.000 lire sterline nel 1919-20, 379.000 nel 1920-21, 200.000 nel 1921-22 e si proponeva di spenderne 275.000 nel 1922-23, si riconosce che i commissari agiscono sulla base di un rapporto del 1917, uno dei famosi rapporti scritti quando il dopoguerra sembrava destinato a «ricostruire» il creato e si volevano rimboschire 1.180.000 acri (circa 500.000 ettari) in 40 anni; lodano «l’entusiasmo e lo spirito civico» dei commissari, ma concludono: «nelle condizioni presenti delle finanze del paese, noi non possiamo raccomandare che questa spesa – la quale si chiuderà sempre con una forte perdita e non potrà dar frutti per circa ottant’anni – sia continuata».
Questo è il motivo fondamentale del rapporto: «Bella, bellissima cosa; ma bisogna lasciarla stare da un canto, perché mancano i quattrini. Tra il fare quella magnifica cosa e il lasciar persistere il disavanzo nel bilancio dello stato o il crescere imposte già mortifere per lo spirito industriale, non c’è dubbio nella scelta: si rimanda la cosa bellissima a tempi migliori».
Così e solo così, si salvano i bilanci pubblici, si salva il paese, si ricostruisce l’industria e si fa tornare la moneta alla pari. Il miglior modo di «ricostruire» è di non fare intraprendere la ricostruzione al governo.
Sentiamo ciò che i commissari propongono per le case. Il programma «ristretto» importa la costruzione di 176.000 casette, di cui 68.550 già finite, 68.730 in costruzione e 38.720 da cominciare. Ognuna di queste casette costerà 1.100 lire sterline in capitale, e 75 lire sterline di interesse ed ammortamento all’anno. Gli inquilini ne rimborseranno 16 per fitto ed i contribuenti «municipali» 4 per tasse. Rimangono 55 lire sterline all’anno a carico dei contribuenti. Non c’è niente da fare, perché vi sono impegni formali assunti dallo stato di costruire tutte queste case. I commissari insistono che non se ne costruisca una di più di quelle promesse; e che quelle impegnate siano vendute a metà prezzo. Il demanio collettivo delle case costa troppo ai contribuenti: 55 sterline all’anno per ogni casetta.
Vendendole a metà prezzo si può ridurre l’onere annuo da 10 a 6,4 milioni
di lire sterline. Dunque si vendano.
E l’incoraggiamento al commercio? C’è un giornale del ministero del commercio, il «Board of Trade Journal», il quale costa 15.770 lire sterline all’anno e ne frutta 6.500. Conclusione: o i redattori del giornale riescono a trovare tanti annunci da colmare il disavanzo o il giornale sia soppresso. Vuol dire che si farà a meno della propaganda commerciale. Tanto non serve a nulla. Ecco quanto i commissari, il fior fiore dell’industria, della banca e del commercio britannico, dicono dell’attività propagandistica che i burocrati affermano di svolgere a loro beneficio. C’è un dipartimento per il commercio d’oltremare, che nel 1913-14 non esisteva e quindi non costava nulla, mentre nel 1922-23 minaccia di costare 375.306 lire sterline. I commissari hanno esaminato con cura le lodi che all’opera del dipartimento erano state fatte; ma concludono:
«Ci sembra che questa specie di propaganda sia assolutamente fuori dei compiti ordinari del governo e non deve essere pagata dai contribuenti. Noi siamo convinti che un dicastero governativo privo di responsabilità finanziaria nelle operazioni da esso suggerite o raccomandate ai commercianti non farà praticamente niente di bene. Mantenere un colossale stato maggiore in Londra composto di 396 persone, col costo di 120.000 lire sterline all’anno in puri stipendi, ci sembra ingiustificato».
Si ficchino bene in mente queste quattro lapidarie parole coloro che in Italia ogni giorno immaginano un nuovo ufficio per promuovere le esportazioni ed a Milano proposero di salvare il commercio ricostituendo non si sa quale istituto per il commercio estero; se lo mettano in testa quegli uomini politici che fecero persino da noi approvare una imposta speciale per gli addetti commerciali all’estero: il miglior modo di promuovere l’esportazione, dicono i cinque mercanti principi inglesi, è di non dare un soldo del denaro dei contribuenti a favore di tutte queste esibizioni burocratiche!
E che cosa dire dei crediti di stato all’esportazione? Altra fantasia politicantesca-burocratica. I commissari non possono disfare il malfatto; ma raccomandano che il preventivo per il 1922-23 sia ridotto da 2 milioni 500.000 a 500.000 lire sterline. I nuovi dipartimenti bellici non trovano misericordia agli occhi dei commissari. Ora che le miniere sono state riconsegnate ai privati proprietari, ora che non si parla più di nazionalizzazione delle miniere e che tutti riconoscono essere il riscatto statale delle rendite minerarie un cattivo affare, un ministero delle miniere è inutile. Sopprimiamolo.
Non meno inutile è il ministero dei trasporti, dopo che le ferrovie sono state riconsegnate, con le dovute cautele per l’interesse pubblico, alle compagnie private. Il solo ufficio importante a cui il ministero adempia è quello delle strade. Raggruppiamo questi ed altri uffici residui di altri ministeri inutili sotto il ministero del commercio: risparmieremo un ministro e due sottosegretari, oltre a tutto il resto.
Uno dei punti su cui i commissari insistono di più è l’irragionevolezza del sistema con cui lo stato contribuisce a certe spese locali: metà del costo. Per ogni lira spesa dai municipi nelle scuole, nella polizia, nella sanità, il tesoro rimborsa mezza lira. In tal modo il tesoro non ha alcun controllo sulla spesa e gli enti locali non hanno abbastanza incentivo nel risparmiare, anzi hanno una spinta a spendere molto, sapendo che il loro bilancio sosterrà solo metà della spesa. Così le spese dell’istruzione elementare salirono da 14,4 milioni di lire sterline nel 1913-14 a 50,6 nel 1922-23; quelle per l’istruzione media da 2,0 a 9,7; quelle dell’assicurazione malattie da 3,5 a 7,8; quelle della polizia e prigioni da 1,3 a 10,7. I commissari propongono che il sistema del sussidio uguale a metà del costo sia abbandonato; e che si cerchino accuratamente altri metodi i quali, caso per caso, fissino, in cifra certa, l’onere del tesoro; lasciando la responsabilità di tutto il sovrappiù di spesa agli enti locali. Frattanto, si metta in genere come limite insormontabile al sussidio una somma uguale alla spesa dell’esercizio scorso. In tal modo, essi sperano, gli enti locali verranno frenati nella loro mania spendereccia; e si otterranno migliori risultati con più limitato dispendio. Speranza forse non infondata.