La speculazione sulle terre e sulle case
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 26/03/1925
La speculazione sulle terre e sulle case
«Corriere della Sera», 26 marzo 1925
Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. VIII, Einaudi, Torino, 1965, pp. 185-190
La vivace discussione che gli ultimi decreti sulle borse hanno provocata sulla situazione dei mercati finanziari, mi ha procurato parecchie lettere sulla situazione che in questi ultimi mesi si è andata creando sui mercati delle terre e delle case.
I risultati non buoni dei decreti sulle borse, le attenuazioni che ai decreti medesimi si dovettero arrecare, escludono che per le terre e per le case si possano prendere provvedimenti atti a perturbare improvvisamente i relativi mercati. Ciò non toglie che ancor vi sia taluno il quale immagina si possa con un provvedimento legislativo frenare di colpo il movimento febbrile che si è venuto creando sul mercato immobiliare.
Una lettera ricevuta di questi giorni narra efficacemente quale sia la situazione.
Tutta la bassa pianura padana, non conosco quello che avviene altrove, ma ritengo che se il fenomeno non s’è ancora generalizzato presto o tardi dovrà allargarsi in tutta la penisola, tutta la bassa pianura padana, ripeto, pare invasata da una febbre di acquisto e rivendita, che in pochi mesi ha portato i prezzi dei terreni a cifre spettacolose, al di cui confronto l’inflazione dei titoli è cosa di poco conto.
Terreni che la più scrupolosa stima fiscale potrebbe valutare oggi al massimo a lire 19.000 per ettaro, vengono venduti a lire 35-40.000.
Come si sia giunti a tali esagerazioni è presto detto:
Durante il regime vincolistico degli escomi agrari molti proprietari cercarono di disfarsi rapidamente delle proprietà terriere, vendendo a prezzi vili, giacché non riuscivano a sopportare i gravami fiscali col canone di affitto.
Le vendite furono fatte con preliminari a lunga scadenza di stipulazione (3 o 4 anni), bastando allora ai proprietari il realizzare la caparra e liberarsi dai gravami fiscali che, insieme all’effettivo possesso, venivano trasferiti all’accaparratore.
Cessato improvvisamente il regime vincolistico, le affittanze subirono immediatamente un’ascesa impressionante portandosi da 300-400 lire ad ettaro sino a 1.000-1.200.
Qui intervenne l’accaparratore che cominciò ad offrire ai fittavoli, pieni di soldi, secondo una pittoresca espressione popolare, l’acquisto dei fondi a prezzi varianti tra le 12 e le 15.000 lire ad ettaro. Alcune vendite ebbero effetto su tali basi e fin qui nulla di anormale.
Ma presto un’altra specie di accaparratori si produsse, ed è quella che tuttora vive e prospera. Alcuni di essi si diedero alla ricerca dei preliminari già in circolazione, mentre altri, conoscendo le difficoltà in cui si dibattevano proprietari, a cui la cessazione del regime vincolistico non aveva giovato, avendo ancora affittanze a lunga scadenza ed a basso prezzo, si diedero ad accaparrare altri fondi, sempre a prezzi di speculazione.
Da tale momento, allettati dai facili guadagni, essi si diedero a vendere e ricomprare per poi rivendere ancora, mentre altri entravano nel numero, portando sempre una maggiore febbrilità nelle trattazioni. I terreni trattati alla stregua di un qualsiasi titolo al portatore, subirono nel corso di poche settimane sino a 12 passaggi, lasciando nelle mani degli speculatori sempre ragguardevoli margini di utile.
Caratteristico, mi si riferisce, lo spettacolo nei mercati di Ferrara e di Rovigo dove mancava soltanto la lavagna ed il banditore per annunziare le ultime quotazioni.
Ora pare che incomincino confortanti reazioni, in quanto qualche preliminare, arrivato alla scadenza di stipula, è decaduto per mancanza di mezzi da parte dell’ultimo detentore; ma purtroppo essi sono ingenui agricoltori, abbindolati da poco scrupolosi mediatori, e che presto si vedranno ridotti al lastrico.
Allo studioso non resta che esclamare «loro danno». Se non vi fossero altri pericoli e tutti i contratti dovessero subir la stessa fine, presto il mercato tornerebbe al normale, ed il fenomeno potrebbe essere considerato dallo storico come uno dei tanti temporali economici che si sono abbattuti sulla nostra economia in questo burrascoso dopoguerra.
Ma intanto il mercato degli affitti ha subito, come era da prevedersi, un altro forte aumento giungendo a lire 2.000 e 2.500 all’ettaro e si prevede un ulteriore aumento, giacché non tutti i preventivi di acquisto, per quanto pazzeschi, si perderanno, e molti proprietari si troveranno ad aver acquistati i propri terreni a lire 40.000 ad ettaro e vorranno affittarli a prezzi corrispondenti ad un saggio vantaggioso netto di gravami fiscali.
Ciò importerà un nuovo aumento in tutti i generi di largo consumo quali sono i prodotti agricoli, con conseguente diminuzione del valore di acquisto della lira. Ma vi è anche di più; molti acquirenti e fittavoli coltivatori calcolavano su buoni utili per la coltivazione delle bietole, che, specie nell’anno scorso, è stata una cultura di compenso per mantenere ad un livello più modesto il prezzo degli altri generi. Sfumato ora un simile utile, non è a temersi che i coltivatori facciano ricadere sugli altri prodotti il minor utile delle bietole? e l’esagerato costo delle affittanze non ricadrà con maggior peso su tali prodotti?
Lettere consimili ho ricevuto da altre regioni agricole italiane; e ricevevo ancor prima d’oggi rispetto alla speculazione la quale è vivissima nelle città sulle case. I fitti – si dice – tendono a salire, perché gli speculatori fanno andar su i prezzi delle case e l’ultimo acquirente, per rifarsi, deve ottenere almeno l’interesse corrente sul prezzo pagato.
Conosciuta la causa del rialzo dei fitti e dei prodotti agrari, è ovvio il rimedio. Come possono gli intermediari crescere tanto, ad ogni trapasso, il prezzo delle case e delle terre? Perché essi, negoziando sulla base di un compromesso privato, non pagano ad ogni volta le tasse di registro, di trascrizione e notarili, le quali all’ingrosso possono calcolarsi al 10% del valore. Si registra solo l’ultimo contratto, comparendo dinanzi al notaio il primitivo venditore e il definitivo compratore. Tutti i trapassi intermedi vanno di fatto esenti da tassa, in frode alla legge.
Il rimedio me lo indicano altri corrispondenti: un bravo decreto legge, il quale dichiari nulli e non sanabili, con successiva registrazione i contratti intermedi o compromessi non registrati entro i soliti 20 giorni dalla data. Non sanabili neppure col pagamento delle multe comminate dalla legge fiscale. Un decretino di un articolo metterebbe tutto a posto: gli intermediari non potrebbero più speculare e guadagnare a danno delle due parti; la finanza, se qualche trapasso intermedio ancora si verificasse, lucrerebbe nuove tasse; i fitti delle case ed i prezzi delle derrate agrarie non avrebbero ragione di aumentare.
Il ragionamento scambia l’effetto per la causa. Il fatto che uno scervellato abbia acquistato una casa o un terreno per il doppio del prezzo suo venale non lo mette affatto in grado di crescere i fitti o i prezzi delle derrate agrarie. Se egli ha sbagliato, sarà oggetto di risa o di compianto, ma nessuno gli farà l’elemosina, pagandogli la roba sua ad un prezzo maggiore di quello corrente. Sarebbe comoda la vita per i produttori se bastasse pagare le macchine, le case, le piante, gli operai a caro prezzo per aver ragione di vendere i prodotti ad alto prezzo.
Il processo logico dei fatti è proprio il rovescio. Si paga cara la casa o la terra perché si spera di ottenere buoni fitti o buoni prezzi. Prima sono venuti i prezzi alti o, il che fa lo stesso, le previsioni di prezzi alti e poi sono rincarate le case e le terre. Il rincaro dei prezzi capitali è una conseguenza, e non la causa, del rincaro, attuale o preveduto, dei fitti e dei prezzi. Ribassino i prezzi ed i terreni andranno giù a rotta di collo.
In questo processo gli intermediari intervengono, perché non tutti gli antichi proprietari vedono chiaro nell’avvenire e non tutti i nuovi investitori si azzardano a comprar subito. Quel tizio che ha venduto per 500.000 la casa, che l’ultimo compratore paga 1 milione, si rode i pugni per aver fatto guadagnar tanto agli speculatori intermedi; ma in quel primo momento a lui pareva di aver toccato il cielo col dito ed era persuaso che lo speculatore avesse fatto male a comperare a 500.000 lire. L’ultimo compratore, il quale alla fine sborsò 1 milione di lire se il vecchio proprietario tizio gli avesse offerta dapprima la casa per 500.000 lire, gli avrebbe riso sul muso, pensando: «se me l’offre, segno è che la casa val di meno. Se la tenga; fra un anno la pagherò 400.000 lire». L’anno dopo, la paga 1 milione di lire e strilla contro gli intermediari, i quali ne hanno fatto aumentare il prezzo. Gli intermediari non hanno fatto aumentare niente; hanno semplicemente antiveduto od intuito un movimento, il quale necessariamente doveva verificarsi, perché fitti delle case e prezzi delle derrate agricole tendevano, per la svalutazione della lira, a crescere.
Il provvedimento invocato terrebbe forse i prezzi bassi? Mai no.
Aggiungerebbe soltanto un nuovo rischio a quelli che corrono gli speculatori. Al rischio di sbagliarsi, quando prevedono rialzi, laddove invece accadono ribassi, si aggiungerebbe il rischio di vedersi negata l’esecuzione del contratto non registrato dal compratore di mala fede, il quale lo eseguirebbe se le case e i terreni continuassero a rialzare e lo rinuncerebbe se ribassassero. I compromessi si farebbero ugualmente. Sarebbero più rischiosi. Ecco tutto.
Al rischio si cercherebbe di ovviare con cambiali in bianco e con altri mezzi. Ma, non potendo essere del tutto abolito, il rischio produrrebbe il suo solito effetto. Il proprietario originario dovrebbe vendere lo stabile a prezzo minore, per compensare l’intermediario del rischio maggiore che egli deve correre nel suo tentativo di arrivare fino all’ultimo, definitivo e per ora ignoto acquisitore. Bisogna persuadersi che di intermediari nel commercio delle case e dei terreni non si può fare a meno, perché nove volte su dieci i compratori ultimi – capitalisti per le case e contadini per i terreni – sono diffidenti e non trattano con i proprietari antichi. Comprano, specie i contadini, quando vedono che la terra è in mano di un negoziante e, a non comprarla, temono se la pigli il vicino, l’amico, il parente. Se la possiede ancora il vecchio proprietario, sperano sempre di guadagnare col tirar le cose in lungo, così da «farlo morire», per difetto di compratori, ed obbligarlo a cedere il suo per un boccon di pane. D’altro canto, anche il vecchio proprietario, se un contadino va a chiedergli un pezzo di terra, immagina che costui ne abbia una voglia matta e tenta subito di farglielo strapagare. Tutto sommato, credo che i vecchi proprietari vendano meglio e più rapidamente e che i definitivi compratori acquistino a miglior prezzo ed in modo più adatto ai loro bisogni quando di mezzo c’è passato un negoziante.
Resta la finanza. Non credo che questa abbia alcun interesse a proclamare la nullità dei contratti intermedi, nella vana speranza di acchiappare qualche tassa di registro di più. Se si bada alla sostanza, invece che alla forma, di trapassi ce n’è stato uno solo: dal primo venditore all’ultimo compratore. E su questo trapasso si paga.
Gli altri trapassi sono tali in apparenza; in sostanza sono contratti di intermediazione, su cui gli intermediari lucrano una provvigione, sotto nome di una differenza di prezzo. Le provvigioni devono essere tassate; e lo sono con l’imposta di ricchezza mobile.
Questo è lo strumento proprio per colpire i guadagni degli intermediari: l’imposta di ricchezza mobile. La nullità dei compromessi, crescendo il rischio delle compre/vendite, tenderebbe invece a diminuire il numero ed a rendere meno attivo il mercato della proprietà immobiliare. Quindi distruggerebbe materia imponibile ottima per l’imposta mobiliare. Le esagerazioni, a cui allude la lettera riprodotta sopra, si correggono da sé e non lasciano tracce se non in qualche illusione perduta da parte degli ultimi compratori. Sarebbe dannoso che, per voler vietare ciò che nessuna legge può impedire, si distruggesse la base giuridica di un mercato, il quale quanto più è libero tanto più rapidamente tende a far passare la proprietà delle terre e delle case dalle mani dei meno adatti nelle mani di coloro che sono capaci di trarne il massimo prodotto. E questo è il vero interesse della collettività.