Opera Omnia Luigi Einaudi

Il progetto di legge sui dazi comunali e le riforme tributarie

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 10/06/1898

Il progetto di legge sui dazi comunali e le riforme tributarie

«La Stampa», 10 giugno 1898

Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), Vol. I, Einaudi, Torino, 1959, pp. 76-80

 

 

Al parlamento è stato nella presente sessione presentato un progetto di legge sui dazi comunali, nell’intento principale di promuovere una riduzione dei dazi sulle farine, in rapporto colla diminuzione provvisoriamente adottata quest’anno e a quelle che potessero adottarsi in seguito nel dazio doganale sul frumento. Si favoriscono inoltre la riduzione dei dazi in genere e si permette anche di renderne la riscossione più confacente alle condizioni locali.

 

 

Si impone a tale scopo una riduzione del dazio sulle farine, ponendovi a base il principio che non possa superare la metà del dazio doganale sul frumento; si permettono riduzioni e modificazioni di tariffe, e da parte sua lo stato promette di non voler ricavare dal dazio più di quello che ne ricava attualmente.

 

 

Queste le linee generali del progetto di legge, che è un passo timido ancora, ma confortante verso la progressiva riduzione dell’opprimente e fiscale sistema dei dazi comunali. Stabilendo il limite massimo del dazio sulle farine alla metà del dazio doganale sul frumento, si mette un limite alle estorsioni dei comuni dell’Italia meridionale, dove spesso il dazio era stato spinto ad altezze eccessive, causa non ultima dei disordini recentissimi.

 

 

Un problema importa indagare, il quale ha importanza notevole per le grandi città che, come Torino, fossero costrette ad una riforma dei tributi esistenti: Date le leggi esistenti, e supposto approvato il nuovo progetto di legge sui dazi comunali, quante vie si aprono dinanzi ai comuni desiderosi di mutare rotta nella imposizione dei tributi? A questa domanda ha risposto per Milano il professore Gobbi in una interessante memoria che qui ci proponiamo di esaminare. Come è noto, da qualche tempo Milano va cercando una via d’uscita moderna alle sue difficoltà finanziarie. La memoria del Gobbi esamina quali riforme siano possibili, date le nuove condizioni di fatto create dal progetto di legge sui dazi comunali.

 

 

Due sono i sistemi che si potrebbero adottare:

 

 

  • Rendere tutta Milano comune aperto, estendendo al circondario interno il sistema del dazio forese ed applicando uno dei tributi diretti non ancora in vigore a Milano. Essendo il fabbisogno complessivo, a cui si rinuncerebbe con la abolizione del dazio murato, di 10 milioni di lire, e gettando il dazio forese o sulla minuta vendita solo circa milioni, rimarrebbero scoperti 5 od al minimo 4 milioni da ritrarsi da una imposta sul reddito.

 

 

Sotto ambi i rispetti il sistema vigente è riprovevole. Il dazio sulla minuta vendita ricade sui poveri, obbligati a fare giornalmente, a chili, a litri le loro provviste, ed esenta i ricchi, che possono fare le compre all’ingrosso. Una tassa sul valore locativo che gittasse a Milano da 4 a 5 milioni sarebbe altamente vessatoria, non esonerando nemmeno gli affitti da lire 200 e raggiungendo presto l’aliquota del 10 percento. Una imposta di famiglia che rendesse altrettanto dovrebbe essere ad aliquota molto alta. La classe più duramente colpita sarebbe quella degli impiegati e professionisti, degli impiegati specialmente, che non potrebbero nascondere nulla del loro reddito. Anche se stabilita con una scala progressiva, la tassa di famiglia potrebbe sempre riuscire meno che proporzionale. Un reddito di 5.000 lire si potrà apprezzare per 4.000; uno di 100.000 lo si stimerà forse di 50.000, credendo di avere già raggiunta una grande approssimazione. Invece di fare un passo verso l’imposta progressiva, si farebbe un passo verso una maggiore sperequazione: massimo aggravio per il medio ceto, massimo sgravio per la grande ricchezza.

 

 

  • Il sistema migliore è di estendere a tutta la città il dazio murato, comprendendo i Corpo santi, che oramai costituiscono mezza popolazione di Milano, riducendo il numero delle voci colpite, e nel tempo stesso applicare una nuova imposta sul reddito. Il dazio verrebbe applicato, esentando nella maggiore proporzione possibile i generi di prima necessità, alle sole voci: bevande, carne, combustibili (esclusa la cera, ecc.), foraggi, materiale da costruzione, gas e luce elettrica per un importo totale presunto di 11.340.000 lire. Verrebbe soppresso il dazio sulle voci: farine, riso, olio, burro, commestibili diversi, zucchero, caffè, coloniali, cera, candele, generi diversi.

 

 

Rimarrebbe scoperto un milione circa. La somma è modesta, ed il Gobbi propone di chiederla all’adozione contemporanea a tariffe mitissime di amendue le imposte dirette, di famiglia e sul valor locativo. L’idea di applicare entrambe le imposte può sembrare strana, ma è perfettamente logica e ragionevole. L’imposta sul valor locativo, anche applicata colla scala progressiva dal 4 al 10% come consente la legge, se riesce proporzionale o fors’anche progressiva sul reddito per una parte del ceto medio, poi riesce certamente meno che proporzionale quando si arriva alla classe più ricca. Il difetto non è tale certamente da far respingere questa forma d’imposta, giacché essa si riscontra in grado ancor maggiore nel dazio consumo, ma è tale da giustificare la ricerca di correttivi.

 

 

Ora la tassa di famiglia serve appunto di correttivo. È questa la sola imposta per la quale la legge lasci assoluta libertà di regolamento alla giunta provinciale amministrativa, e per conseguenza al comune; essa potrà dunque venir applicata come imposta progressiva sul reddito, adottando l’aliquota del 3% per ogni reddito complessivo diminuito di 3.000 lire.

 

 

Con questa detrazione costante l’imposta riuscirebbe di fatto progressiva con un’aliquota che da 0,187% per 3.200 lire (con un’imposta di lire 6 che sarebbe la minima da riscuotersi) salirebbe fin quasi al 3% pei redditi più elevati. La progressione riuscirà nel fatto meno forte di quello che essa non sia in apparenza, e ciò per la gran difficoltà di apprezzare con sufficiente approssimazione i redditi più elevati. Ad ogni modo, per un reddito di lire 5.000, l’imposta non sarebbe che dell’1,20% (lire 60), cosicché il ceto medio, i cui redditi saranno certamente quelli apprezzati con maggior approssimazione al vero, non sarebbe molto aggravato.

 

 

Esentando gli alloggi al disotto di 400 lire e i redditi non superiori a 3.000 lire, si avrebbe una prima categoria di persone, quelle delle meno agiate, che non sarebbero colpite né dall’una né dall’altra imposta; una seconda categoria che pagherebbe soltanto quella sul valor locativo; ed una terza categoria che pagherebbe la imposta di famiglia per una somma di regola maggiore di quella dovuta per l’altro titolo.

 

 

Applicando la imposta sul valor locativo, si ha il vantaggio di colpire coloro che non avendo la residenza in Milano vi passano però qualche tempo e vi tengono perciò un appartamento, i circoli, le società, ecc.

 

 

La spesa di amministrazione per l’impianto delle due imposte non dovrebbe essere superiore a quella che occorrerebbe anche per quella di famiglia, perché anche per questa sola occorrerebbe fare assegnamento su tutti i dati relativi al valore locativo. Col dazio murato ridotto alle voci indicate, colle imposte di famiglia e sul valor locativo per circa un milione fra l’una e l’altra, e con una più larga applicazione dei contributi di miglioria si avrebbe un sistema tributario di applicazione non certo piacevole, perché nessun metodo fiscale potrà mai essere tale, ma tollerabile. Si potrebbe rassegnarsi a priori a lasciare che qualche bottiglia di Barolo entrasse in città senza essere disturbata e far sì che la sorveglianza sui viaggiatori (che rende in pratica tanto odioso il dazio murato) non fosse più una regola, ma un’eccezione riservata per quelle persone in cui si potesse sospettare l’esercizio di una frode sistematicamente organizzata. La sorveglianza dovrebbe essere attiva rispetto alle carni; legna, carbone e fieno, nessuno vorrebbe nasconderli nella valigia.

 

 

Contro il dazio murato e contro le due nuove imposte, si fanno obbiezioni che sono in fondo della stessa natura, e quindi non possono valere a far preferire l’uno all’altra. Da una parte gli industriali dei suburbi temono che, una volta attuato l’allargamento della cinta daziaria, nuove voci vengono poi aggiunte alla tariffa e siano così colpite anche le materie prime di cui essi hanno bisogno. Dall’altra si teme che, una volta impiantata la imposta di famiglia, amministratori futuri abbiano a servirsene come di strumento per colpire sempre più fortemente la ricchezza.

 

 

Il timore è troppo ingenuo. Se gli amministratori futuri vorranno colpire una classe a profitto di un’altra, non avranno alcun bisogno di trovare gli strumenti già preparati a quest’uopo, ma sapranno benissimo prepararseli da sé. Non attuare oggi una proposta conveniente e giusta per timore che altri se ne serva in seguito in modo ingiusto e sconveniente sarebbe una di quelle apparenti furberie che nascondono la più grande ingenuità.

 

 

Al dazio si rimprovera il contrabbando ed al valor locativo si rimproverano le frodi nei contratti di affitto; l’un difetto vale l’altro; le due imposte possono cessare di rimproverarseli reciprocamente. La sola cosa importante da farsi è di attuare le imposte in modo che lo stimolo alle frodi ed al contrabbando sia ridotto al minimo; e a questo giova appunto il volerne ricavare un provento modesto, mentre l’eccesso del fiscalismo non solo cresce l’interesse a commettere le frodi, ma, di fronte all’opinione pubblica finisce anche a scusarle.

 

 

Queste le idee che il Gobbi ha esposto all’unione elettorale liberale monarchica del primo collegio di Milano; a noi sembra che esse forniscono utile argomento di studi e di raffronti per tutte le altre città italiane, che dagli ultimi avvenimenti sono state spinte sulla via delle riforme tributarie, e queste riforme devono compiere nell’ambito delle leggi vigenti e dei progetti di probabile approvazione.

 

 

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