Il decreto e i casi da risolvere
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 03/03/1925
Il decreto e i casi da risolvere
«Corriere della Sera», 3 marzo 1925
Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. VIII, Einaudi, Torino, 1965, pp. 124-128
L’accoglienza fatta dalle borse al decreto, ufficialmente intitolato: «Disposizioni per le informazioni e i dati relativi al movimento delle divise estere», non pare dunque sia stata entusiastica. La norma più discussa è quella del 25% che i committenti debbono pagare subito in contanti quando danno un ordine di acquisto a termine di titoli industriali o bancari, di ogni titolo cioè il quale non sia a debito dello stato, o garantito dallo stato, o non sia una cartella fondiaria.
Le critiche non si rivolgono al principio, di cui è generalmente riconosciuta la fondatezza, ma alle modalità di applicazione. Il principio, per spiegarlo in parole comuni, è il seguente: colui il quale ordina di acquistare per contanti mille azioni di una società a mille lire è, per definizione, una persona seria. Consegna da una parte un milione di lire in contanti e ritira contemporaneamente i titoli. Colui, invece, il quale dà ordine di comperare a termine, ossia a fine mese, le stesse mille azioni allo stesso prezzo di mille lire l’una, può essere e può non essere una persona seria. Se egli alla fine del mese ritira i titoli e paga il milione, non vi è nulla da eccepire. Se egli è solvibile nel senso che, prima della fine del mese, rivende le stesse mille azioni a 1.100 o a 900, e riceve o paga la differenza fra le 1.000 lire, prezzo di acquisto, e le 1.100 o 900, prezzo di rivendita, non vi è del pari nulla da eccepire. Poco serio e da schivarsi sarebbe colui il quale, dopo aver comprato a 1.000, si propone di riscuotere 100 lire per azione se riesce a rivendere a 1.100, ma diventa insolvente se, ribassando il titolo, e dovendo rivendere a 900, non paga la differenza 100 che, moltiplicata per 1.000, fa 100.000 lire.
Gli agenti di cambio, i banchieri, i commissionari cercano di difendersi contro i clienti poco seri, non facendo affari con essi. Ma talvolta, purtroppo, la leggerezza del cliente si conosce a posteriori, a frittata fatta. Talaltra, qualche agente di cambio o banchiere o commissionario è egli stesso una persona leggera che, pur di fare affari, non bada molto alla qualità dei clienti. Il decreto del 25% ha per scopo di proteggere gli agenti di cambio, anche quelli leggeri, contro la clientela poco seria. Esso dice in generale che colui il quale dà un ordine di acquisto a termine deve dare una copertura o garanzia allo scopo di assicurare l’agente che l’operazione sarà, anche nel caso di perdita, condotta a buon fine.
Le obiezioni mosse al decreto non vertono tanto sul principio, il quale sembra accettato universalmente, che chi negozia i valori pubblici debba offrire garanzie di solvibilità, quanto sulle modalità di applicazione. Ed ecco le principali obiezioni:
- 1) Il decreto favorisce i ribassisti a danno dei rialzisti. Se colui che compra mille azioni a 1.000 lire l’una deve prestare una garanzia di 250.000 lire per assicurare la sua capacità di ritirare alla fine del mese i titoli pagando un milione di lire, ovvero la differenza passiva risultante dalla rivendita avvenuta a più basso prezzo, o dal riporto a un prezzo di compenso minore del corso di 1.000, perché analoga garanzia non deve prestare colui il quale ha venduto le mille azioni a 1.000 lire? Non esiste lo stesso preciso pericolo, in senso inverso, che il venditore non sia in grado di consegnare i titoli promessi per la fine del mese, o non paghi la differenza passiva risultante dalla ricompra a 1.200 lire delle mille azioni che erano state da lui vendute a 1.000?
Chiedere una garanzia del 25% al compratore e non al venditore del titolo, significa proteggere i ribassisti contro i rialzisti. Il decreto in se stesso organizza e provoca il ribasso. Ciò non risponde all’interesse collettivo. L’interesse collettivo impone che le operazioni di borsa siano serie, non che siano orientate al rialzo o al ribasso. Mettere alle operazioni in un senso freni che non esistono per le operazioni nell’altro senso, è organizzare a volta a volta il rialzo o il ribasso; è fare cosa che è contraria alla giustizia e alla imparzialità, le quali devono caratterizzare le azioni dello stato. Ho messo per prima questa obiezione, perché è la più grave di tutte. Ho criticato troppe volte il diritto di sconto, che è una macchina creata per opprimere i ribassisti, per non dover riconoscere che la richiesta di parità di trattamento è corretta. La garanzia, qualunque essa sia, deve essere prestata da ambo le parti, operatori al rialzo e operatori al ribasso.
- 2) La garanzia in danaro non è necessaria. Il decreto impone il versamento del 25% del prezzo dei titoli acquistati. Pare che ciò voglia dire che il versamento debba esser fatto in danaro contante. Potrebbe, si osservi, consentirsi che la garanzia sia prestata in titoli. Lo scopo da raggiungere è la serietà dell’operazione; l’assicurazione del suo buon fine. Ora lo scopo si raggiunge egualmente bene quando il committente dia una garanzia in titoli, vincoli un deposito bancario, ecc. L’esigenza del versamento in danaro, oltre agli inconvenienti di cui si dirà poi, immobilizza per un certo tempo un contante che potrebbe essere utilizzato altrimenti. E chi vieta, a chi ha titoli e non danaro, di ottenere una anticipazione su titoli e di procurarsi così il danaro necessario? Se titoli e danaro sono fungibili, perché obbligare banche e agenti di cambio alle inutili operazioni e scritturazioni necessarie per trasformare la garanzia di titoli in una garanzia di danaro?
Anche questa osservazione parmi sensata; si potrebbe tenerne conto nel regolamento.
- 3) La garanzia non deve essere versata all’agente di cambio. Riprendendo l’esempio precedente, Tizio, il quale ha comperato mille azioni a 1.000 lire l’una, dovrebbe, secondo la lettera del decreto, versare un anticipo del 25% sull’importo totale di un milione di lire, ossia 250.000 lire. Perché egli deve perdere gl’interessi di questa egregia somma fino alla fine del mese? Quando il danaro in borsa costa l’8%, sono fior di quattrini che il cliente perde a favore dell’agente di cambio. Ma v’ha di più. Perché il cliente deve fare il fido di 250.000 lire, o di altra somma proporzionata agli affari da lui fatti, all’agente di cambio? Chi garantisce il cliente che un agente di cambio, reputato fino allora per onestissimo, non ceda alla tentazione di alzare i tacchi con i depositi forzosamente affidatigli? Non è difficile ricevere anticipi per qualche milione di lire; e si sa che le occasioni fanno l’uomo ladro.
Notisi che la corporazione degli agenti di cambio è composta di persone scelte e di solvibilità e correttezza indiscusse; ma, come in tutte le categorie sociali, qualche coscienza incerta può ritrovarsi anche in quella corporazione. Perciò taluno osserva che la garanzia, la cauzione o l’anticipo in titoli o danaro, o possa o debba essere versato presso un pubblico istituto di emissione, escogitandosi qualche modalità di svincolo a favore di determinate operazioni. Anche questa è materia di utili considerazioni per il regolamento.
- 4) L’obbligo dell’anticipo non ha sanzione diretta. Sarebbe difficile escogitarne tuttavia qualcuna, perché l’agente di cambio è sempre libero di dichiarare di aver ricevuto il 25% anche nei casi in cui questo non sia stato versato. Le sanzioni indirette ci sono. Una è la possibilità dell’esclusione dalla borsa dell’agente contravventore. La seconda, e più efficace, è la circostanza che, in caso di inadempienza del cliente, il sindacato di Borsa considererà in ogni caso già riscosso il 25%, e quindi l’agente otterrà la esecuzione coattiva a carico del cliente per le eventuali perdite, solo se queste superino il 25% medesimo. Il cliente, a cui la copertura non fu chiesta, potrà rendersi impunemente inadempiente entro i limiti del 25 per cento. Si può ritenere perciò che, in tutti i casi in cui vi è un qualsiasi, anche lontano, timore di inadempienza, l’agente di cambio curerà l’esecuzione dell’anticipo.
- 5) L’agente di cambio, a cui i clienti sono costretti di far credito, sono alla loro volta costretti a far credito ai loro riportisti attivi. Si sa che gli agenti di cambio, per consentire ai rialzisti che hanno comprato titoli e non li possono ritirare alla fine del mese, di prolungare l’operazione, usano ritirare i titoli col danaro di capitalisti, i quali in garanzia ricevono i titoli stessi. Il capitalista riportista dà alla fine di febbraio un milione di lire, e ritira in garanzia i titoli che il rialzista non può saldare. Formalmente, il riportista compra i titoli alla fine di febbraio e li paga per contanti. Contemporaneamente, egli rivende i titoli per fine marzo allo stesso rialzista, al prezzo di un milione, più l’interesse o riporto. In sostanza il contratto è di mutuo; formalmente è di compra a contanti e di rivendita contemporanea a termine. L’agente di cambio che ricompra i titoli a termine per conto del rialzista suo cliente, dovrà ottemperare pur egli alla regola del 25%? In tal caso egli dovrà al capitalista riportista da cui ricompra a termine titoli del valore di un milione, versare il deposito di 250.000 lire; il che vuol dire che per ottenere a prestito per il mese 750.000 lire, bisognerà dare al capitalista riportista titoli del valore di un milione. E se, nel frattempo, il capitalista si rende insolvente? Perché gli agenti di cambio debbono dare in mano ai capitalisti riportisti titoli di valore tanto superiore alla somma che hanno ricevuto in prestito per un mese?
Ecco un altro quesito imbrogliato, che è necessario risolvere.