Massarenti contro i massimalisti
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 13/11/1919
Massarenti contro i massimalisti
«Corriere della Sera», 13 novembre 1919
Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. V, Einaudi, Torino, 1961, pp. 515-516
Un corrispondente del «Secolo» ha interrogato a Molinella Giuseppe Massarenti, il ben noto organizzatore socialista, per sapere le ragioni che l’avevano spinto a rifiutare la candidatura politica nelle condizioni del travagliato e irrequieto campo del lavoro in Emilia. Il Massarenti ha risposto francamente alla prima domanda di non essersi stimato né adatto per temperamento né preparato per cultura alla deputazione, dando prova così di un senso della responsabilità che non è certo molto comune fra i comunisti italiani. Quanto al massimalismo, che nell’emiliano è oggetto della propaganda più attiva e più dissennata, ha detto testualmente:
«Non c’è chiarezza, non c’è precisione di idee sul significato delle parole. La dittatura del proletariato richiede una grande coscienza nella massa. Non posso concepire la sovrapposizione di una classe su tutte le altre, l’assorbimento di tutte le classi da parte di una; non posso concepire la dittatura di una classe che si trova in condizioni di inferiorità moralmente, economicamente, tecnicamente».
E a proposito della situazione locale ha aggiunto:
«C’è in tutti un’irrequietezza che non è possibile frenare con mezzi materiali, che porta al disinteressamento della produzione, all’avversione del lavoro, alla disabituazione alla vita quale deve essere in una società che non voglia uccidersi. Io stesso debbo fare una fatica improba nelle organizzazioni per richiamare al senso della realtà i lavoratori. Ieri, ad esempio, mi sono recato dalle risaiuole. – Come va? – ho chiesto. – Bene di salute, ma siamo stanche di lavorare – Quanto guadagnate al giorno? – Soltanto nove o dieci lire. – È poco. Nella Lomellina le donne percepiscono 14 o 15 lire il giorno. Ma quante tavole fate giornalmente? – Dalle 20 alle 25. – Allora siete voi le responsabili perché non lavorate a sufficienza per raggiungere una paga come quella delle vostre compagne delle altre risaie!».
«Questo stato d’animo – ha continuato a dire il Massarenti – non conduce né alla dittatura né al trionfo del proletariato: esso conduce invece alla disgregazione sociale, alla disperazione. Perché ora ci sembra di trovarci di fronte a dei disperati che rifuggono dal lavoro invasati dal timore di fare il giuoco delle classi dirigenti, di allontanare la rivoluzione che è alle porte. Lavorare per i signori? – dicono. Ma io vedo gli sforzi che faccio qui. L’azienda macchine ha speso 120 mila lire in più per salvare la produzione minacciata. E quanta buona volontà mi ci è voluta, quanto ho dovuto insistere perché lavorassero. È uno stato d’animo anarchico; anarchico nel peggior senso della parola: ed è comune a tutti: donne, vecchi, giovani; in questi ultimi più che nei vecchi»».
Ha soggiunto poi che la borghesia, la quale ha profuso tesori nella guerra, non deve lesinare i mezzi per la riorganizzazione del lavoro e si è mostrato «addolorato per questa febbre da cui è presa la massa, e, uomo di lotta, s’è indignato contro quei vecchi socialisti che per ingenuità o calcolo elettorale, anziché resistere, si fanno travolgere dal massimalismo; peggio: si ubriacano nella predicazione d’una rivoluzione e d’una dittatura pur sapendo ch’è una fiammata destinata a spegnersi».