Il problema delle corone nei paesi redenti
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 28/01/1919
Il problema delle corone nei paesi redenti
«Corriere della Sera», 28 gennaio 1919
Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. V, Einaudi, Torino, 1961, pp. 62-65
Il problema della circolazione nei paesi redenti, posto efficacemente da Luigi Barzini in una sua corrispondenza, è certo complicato. E nel tempo stesso dei più urgenti. Nel poco tempo trascorso dalla nostra occupazione parecchi sistemi sono stati adottati, sicché non v’è da stupirsi se ufficiali, commercianti, privati reduci da Trieste e dalle altre città del Litorale e dell’Istria abbiano riportato l’impressione del caos monetario e se le discussioni siano vive nei giornali e nelle assemblee dei paesi redenti.
Sintetizzando rapidamente, il problema può essere esposto così. L’Italia ha una circolazione in lire di carta-moneta, la quale di fatto ha corso forzoso, non permutabile in moneta d’oro. La lira di carta non ha nessun valore intrinseco – uso la terminologia corrente -; come del resto non l’ha l’oro, né l’argento, né qualunque altra materia monetaria. La lira di carta ha una certa potenza d’acquisto rispetto alle merci, la quale è sovratutto in ragione della sua quantità relativa. Prima della guerra, quando di lire ve n’erano relativamente poche in giro, circa 3 miliardi, ogni lira comprava una discreta quantità di merci. Adesso, che le lire sono cresciute di numero, a circa 13 miliardi e le merci da comprare sono rimaste al più stazionarie di volume e forse diminuite, è naturale che ogni lira compri una quantità minore di merci. Accade per le lire, quel che capita per tutte le merci, che divengono più abbondanti: esse deprezzano. Il deprezzamento della lira prende l’aspetto di un aumento nel prezzo delle merci. Un paio di scarpe che costava 20 lire ne costa 80; un po’ colpa delle scarpe che sono diventate più rare e son consumate più rapidamente (dagli eserciti), e massimamente colpa delle lire che sono diventate più abbondanti.
Nei paesi della ex monarchia austriaca corre invece la corona, pure di carta ed a corso forzoso. Prima della guerra circolavano forse ¼ di corone-carta, oltre ad una certa quantità d’oro. Durante la guerra, la massa di carta emessa dalla Banca austro-ungarica crebbe straordinariamente: eravamo nel momento della sconfitta di Vittorio Veneto a circa 28 miliardi e mezzo ed ora si dice che la cifra stia avviandosi velocemente verso i 40 miliardi. Era naturale, era fatale che ogni corona scapitasse, in tanto diluvio di carta monetata, assai più della lira in potenza di acquisto delle merci; e che il paio di scarpe aumentasse da 20 a 200 e più corone.
Se per avere la stessa merce, un paio di scarpe, bisogna dare 80 lire e 200 corone, è evidente che 80 lire equivalgono a 200 corone, ossia che 40 centesimi di lira sono uguali ad 1 corona. Questo è un fatto incontrovertibile. Sui mercati liberi neutrali, ad esempio Svizzera, lira e corona si negoziano in quel rapporto. Il governo italiano, con bando Diaz del 26 novembre, accettò e codificò questo rapporto. Non si vede in che modo quel rapporto, spontaneamente, potrebbe mutare, salvo oscillazioni in più od in meno. Bisognerebbe che la Banca austro-ungarica potesse ritirare gran parte delle sue corone-carta, ridurne la quantità circolante. Se ciò si potesse fare, la potenza d’acquisto della corona in merci tornerebbe ad aumentare. Non pare vi sia alcuna probabilità vicina di tale miracolo. Sarà gran mercé se la Banca austro-ungarica non seguiterà ad emettere altri miliardi di carta monetata, facendo vieppiù svalutare la corona in rapporto alla lira.
I cittadini dei territori redenti, naturalmente, desiderano invece che la potenza di acquisto della corona rialzi, sicché la corona torni a scambiarsi alla parità con la lira. Il loro desiderio coincide altresì con l’interesse generale; e certamente sarebbe utile che un solo sistema monetario vigesse nella madrepatria e nei paesi redenti. L’Italia ha interesse a saldare a sé, politicamente ed economicamente, le sue nuove provincie. Ed un diverso sistema monetario, in cui l’un tipo scapita sull’altro, divide, fa sorgere querele, le quali, se non sempre giustificate, sono sempre irritanti.
Nessun rimedio sarebbe tuttavia possibile se il territorio redento fosse aperto all’importazione illimitata delle corone austro-ungariche. Se il rapporto tra lire e corone fosse fissato come da 1 ad 1 e le casse pubbliche cambiassero, a quella stregua, corone contro lire, tutti i 40 miliardi di corone-carta si precipiterebbero nelle provincie redente, ad ottenere il cambio. E la Banca austro-ungarica avrebbe un forte stimolo a dare nuovi rapidi giri al torchio della stampa delle corone. Lo stato italiano si caricherebbe di una responsabilità indefinita.
Per giungere alla parità, occorre assolutamente che le corone dei paesi redenti diventino una quantità limitata, nota e si diversifichino per qualche evidente connotato dalle corone generiche, rimaste al di là della linea d’armistizio. Si deve fare in modo che le corone generiche non possano in nessun modo venire a crescere la quantità delle corone dei paesi redenti.
Il governo italiano ha fatto qualcosa in tal senso: ha proibito l’importazione delle corone-carta attraverso la linea d’armistizio. Ha dichiarato di essere pronto a cambiare le corone-carta in lire-carta, recanti serie e numeri speciali, diversi da quelli delle lire circolanti in Italia. Ma la confusione non è cessata. Pare che le lire seriate, considerate di maggior pregio delle lire solite, siano scomparse dalla circolazione. E l’infiltrazione delle corone continua.
A me sembra che si sarebbe dovuto fare subito e forse si possa ancora fare, se si operi rapidamente, qualcosa di simile a quanto fece il governo francese nell’Alsazia-Lorena. Con decreto del 26 novembre 1918, probabilmente conosciuto subito nell’Alsazia-Lorena, sebbene pubblicato sul «Journal Officiel» del 7 dicembre, si dava tempo sino alla mezzanotte del 6 dicembre agli alsaziano-lorenesi, ai sudditi alleati o neutrali domiciliati in Alsazia-Lorena di dichiarare la somma di marchi posseduta. Fatte le verifiche e riscontrata la esattezza delle dichiarazioni, i marchi furono cambiati dal 15 al 23 dicembre in franchi, nel rapporto di parità di 1 marco contro 1,25 franchi. A partire dal 15 dicembre i marchi cessarono dall’avere corso legale.
Noi non potremo più adottare l’identico sistema perché si è lasciato passare troppo tempo e l’inondazione delle corone deve essere divenuta allarmante. Ma bisognerebbe decidersi presto a qualcosa di simile. Le corone correnti nei paesi redenti dovrebbero, entro un brevissimo numero di giorni, essere presentate alle casse pubbliche ed ivi munite di una stampigliatura o contrassegno non falsificabile. Soltanto queste dovrebbero conservare il loro valore legale. Eseguita la operazione, si vedrà quale sia la massa delle corone stampigliate e quale rapporto sia possibile fissare fra lira e corona. Tanto meglio se quel rapporto potrà essere quello di parità. Altri pochi giorni dovrebbero essere fissati per il cambio delle corone in lire, così da unificare la circolazione.
Forse ad imitare il sistema francese si oppone qualche difficoltà derivante dalle convenzioni dell’Aja, che garantirebbero durante il periodo d’armistizio il corso legale alle corone. Ma non si vede perché la difficoltà non possa essere girata da noi, come lo fu dai francesi, in condizioni giuridicamente identiche. Se non quel sistema, se ne adotti un altro; tenendo ben fermo in mente che per rialzare il corso delle corone correnti nei paesi redenti è assolutamente necessario rendere quelle corone qualcosa di diverso dalle corone rimaste al di là della linea dell’armistizio. Se le due specie di corone non sono nettamente distinte, un rimedio alla svalutazione di ambedue non mi pare possibile.